(Alfonso Bianchi – today.it) – Luigi Di Maio cade sempre in piedi. L’ex leader del Movimento 5 Stelle è stato scelto per un incarico di prestigio e anche di responsabilità: sarà il nuovo rappresentante speciale dell’Unione europea nel Golfo. Un ruolo nuovo, creato allo scopo di migliorare i rapporti con una regione strategica non solo per gli equilibri tra Europa, Asia e Africa ma soprattutto per le sue risorse energetiche, diventate ancora più importanti e preziose dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e la volontà di fare a meno degli idrocarburi di Mosca.

E a gestire in prima persona per l’intera Unione europea i rapporti con questi Paesi e a coltivarli con viaggi frequenti, sarà l’uomo che sembrava ormai destinato a sparire dalla scena politica in Italia dopo la batosta elettorale della sua lista Impegno Civico, che si è fermata a livello nazionale a un misero 0,6%, e dopo la sua sconfitta personale nella candidatura quasi blindata nel collegio uninominale di Napoli, con il supporto dell’intero centrosinistra.

E invece come se niente fosse accaduto eccolo qua, chiamato a gestire una partita delicatissima per l’intero blocco, con uno stipendio d’oro da circa 20mila euro al mese, superiore anche a quello che aveva da ministro, una squadra di persone al suo servizio e un budget di 1,8 milioni di euro per il periodo iniziale di 21 mesi in cui resterà in carica dal prossimo primo giugno al 28 febbraio 2025. “‘Cca nisciuno è fesso”, diceva Totò a chi si permetteva di sottovalutare le sue capacità. E Di Maio fesso non sembra esserlo affatto, perché nonostante in tanti abbiano sottovalutato le sue capacità, è stato capace di fare una carriera politica da far invidia ai mostri sacri della Democrazia Cristiana.

A 26 anni è stato il più giovane vicepresidente della Camera della storia del nostro Paese, per poi diventare leader del Movimento 5 Stelle e portarlo al governo, arrivando a ricoprire il delicato ruolo di ministro degli Esteri (nonché vicepremier) fino a diventare a soli 36 anni il primo rappresentante speciale dell’Unione europea nel Golfo. Per il ruolo il suo nome fu fatto mesi fa dall’allora premier Mario Draghi, che voleva un italiano per il delicato incarico e che scelse proprio lui per logiche interne alla maggioranza.

E il governo di Giorgia Meloni, dopo aver preso le redini del Paese, ha abbracciato fin da subito la sua candidatura con realpolitik. Certo a parole in tanti nella maggioranza hanno preso le distanze dall’ex 5 Stelle, quasi a vergognarsi della sua candidatura. Addirittura quando la nomina è diventata ufficiale ieri, il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, ha parlato di “grande sconcerto” per la designazione di una persona “inadeguata e incapace”, di una decisione che “umilia” l’Europa. Ma l’esecutivo di centrodestra non ha mai fatto nulla per evitare Di Maio ottenesse davvero il posto. E a ragione: avere un italiano in quel ruolo conviene senza dubbio, qualunque sia il colore politico dell’esecutivo.

È stato a novembre che per la prima volta è stata resa nota non solo la sua candidatura, ma addirittura il fatto che tra i quattro contendenti fosse quello scelto da un panel di esperti indipendenti come il più adatto all’incarico. Gli altri pretendenti al ruolo erano l’ex ministro degli Esteri della Grecia ed ex commissario Ue, Dimitris Avramopoulos, l’ex segretario generale dell’Osce ed ex inviato dell’Onu in Libia, lo slovacco Jan Kubis, e infine il più volte commissario europeo ed ex ministro degli Esteri cipriota, Markos Kyprianou, laureato in Legge all’università di Atene e al Trinity College di Cambridge.

Ma per gli esperti indipendenti della commissione il più adatto a gestire i rapporti dell’Unione europea con Bahrain, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Oman, ed Emirati Arabi Uniti sembra fosse il giovane e intraprendente Luigi Di Maio, che una laurea non l’ha nemmeno presa (nonostante abbia frequentato due facoltà), e il cui curriculum, prima dell’ingresso in politica con gli allora organizzatori del Vaffa Day, che volevano aprire il Parlamento con una scatola di tonno e rivoluzionare l’Europa, non contiene nessun ruolo degno di nota.

Per gli esperti comunitari a quanto pare contava il fatto che durante i suoi anni come ministro degli Esteri aveva incontrato più volte i suoi omologhi degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita mantenendo buone relazioni, nonostante fu sua la decisione nel 2019 di fermare la vendita di bombe ai due Paesi in relazione alla guerra civile in Yemen. Quando a novembre gli esperti fecero il suo nome la partita era ancora aperta, e il governo Meloni avrebbe potuto fare opposizione se avesse voluto, battere i pugni sul tavolo.

E invece ha deciso di farlo tacitamente passare, senza fare troppo rumore, per non scontentare i propri elettori. Dopo l’indicazione formale arrivata dall’Alto Rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, lo scorso 21 aprile, mentre ministri come Antonio Tajani ribadivano a parole che Di Maio non era un “candidato governativo”, gli ambasciatori del nostro Paese non hanno mai nemmeno alzato la mano o fatto una minima obiezione nei ben due passaggi formali del Comitato Politico e di Sicurezza e a quella dei rappresentanti Permanenti dei 27 in Ue, e lo stesso ha fatto ieri il ministro per lo Sport, Andrea Abodi (che per una strana combinazione si è trovato a gestire il passaggio formale dell’ultimo sì alla sua nomina).

E così mantenendo un profilo bassissimo alla fine Meloni ha portato a casa il risultato e lontano da occhi indiscreti avrà sicuramente gioito di questa vittoria. Avere un italiano a tessere relazioni per l’Ue con i principali produttori di combustibili fossili del mondo non fa certo schifo al nostro Paese. E nemmeno al suo colosso nazionale, l’Eni. Certo la speranza è che eviti le sue famose gaffes, come quella del “Venezuela di Pinochet” o come quando in Cina, da ministro degli Esteri, chiamò Ping il presidente cinese Xi Jinping. Ma Di Maio, ormai è chiaro, cade sempre in piedi, e se la caverà anche stavolta. Se continua così ce lo troveremo tra qualche anno Segretario generale delle Nazioni Unite. E staremo ancora a chiederci come ha fatto.