Le due relazioni e la gelosia: così la sua latitanza ha iniziato a entrare in crisi. Il boss ha violato uno dei pilastri del codice di Cosa nostra: mai avere relazioni con le donne d’onore

L’errore fatale di Matteo Messina Denaro: le vivandiere erano anche amanti

(di Roberto Saviano – corriere.it) – Non esiste boss latitante senza vivandiere, non esiste nessuna latitanza possibile senza assistenza. I boss, quando si nascondono, hanno necessità primarie che devono essere affrontate in modo completamente diverso rispetto a quando sono in libertà e in società.

Liberi e in attività hanno squadre che girano intorno alle loro case, guardiaspalle, più i familiari sono visibili, attivi in campagna elettorale, presenti negli affari pubblici più il loro potere è celebrato.

I loro movimenti sono sintomo della presenza del capo sul territorio, la visibilità mostra dominio e vuole comunicare sicurezza a chi si affida al loro potere.

Tutto cambia in latitanza o meglio in una latitanza in cui si ha certezza d’essere ricercato, lo Stato è debole e squattrinato non ricerca tutti i latitanti. Ebbene quando si è nel mirino non deve esserci traccia di movimenti, i familiari rappresentano un pericolo, vengono pedinati, osservati, continuamente monitorati.

Gli amici più fidati diventano come orme lasciate dalla belva che gli inquirenti braccano, ogni data di compleanno, di anniversario di matrimonio, di onomastico del boss vede partire rinnovate intercettazioni ambientali e pedinamenti nella speranza di scovarlo ad un incontro.

Ogni post pubblicato fuori zona da chi è vicino al boss fa partire ispezioni nel luogo della foto. Scegliere la figura giusta come vivandiere è molto, molto complicato: deve essere anonima e deve essere affidabile. Nessun trascorso nell’organizzazione, nessun reato. Ancor prima del rischio di essere scoperti dalla catturandi, c’è il rischio di essere venduti ai nemici. Quindi la persona prescelta deve essere inavvicinabile dai rivali, e non perché incorruttibile o perché irreprensibile (studiare le mafie ti porta ad una consapevolezza che l’umanità non è kantianamente un legno storto ma una radice marcia: tutti sono avvicinabili, tutti sono corruttibili) ma semplicemente perché non la identificano e quindi non possono comprarla o minacciarla.

Da sempre, il ruolo del vivandiere o della vivandiera è quindi il muscolo cardiaco che permette la latitanza di un capo. La regola è sempre la stessa, per prendere un latitante bisogna identificare chi porta il cibo al latitante, chi gli consegna i panni, chi lo sposta quando deve muoversi, chi insomma permette al latitante di svolgere le sue attività vitali che sono appunto mangiare, bere, vestirsi comunicare, e in alcuni casi, fare sesso. Non è raro, infatti, che quando si tratta di vivandiere i capi abbiano poi iniziato relazioni con loro spesso mettendo a rischio il funzionamento del sistema.

Succede anche a Messina Denaro. Il boss sceglie come vivandiera Laura Bonafede moglie di un suo killer Salvatore Gentile e figlia di un uomo d’onore responsabile di mandamento Leonardo Bonafede.

Pedegree mafioso perfetto possiede Laura, avrebbe dovuto per questo motivo essere scartata come vivandiera perché non rispetta il codice dell’anonimato, dell’assenza di legami con uomini d’onore, facile per gli inquirenti avrebbe dovuto essere monitorare tutte le famiglie di Cosa Nostra della zona di Castelvetrano nei decenni di latitanza di Messina Denaro per scovare chi lo aiutava. Sembra scontato ma non lo è.

Messina Denaro non è come gli altri latitanti. Gli altri latitanti si nascondevano e si nascondono per continuare ad essere ciò che sono, Messina Denaro aveva un’altra identità non solo per provare a sottrarsi a quella parte di Stato che lo cercava per catturarlo ma per scomparire letteralmente con l’organizzazione e avere con essa solo sporadici contatti. Quindi per chi lo cercava la sfida non era dove fosse Messina Denaro ma chi fosse Messina Denaro.

Gli altri boss utilizzano documenti falsi per spostarsi, per andare all’estero, ma continuano a essere boss sul loro territorio lui no. Il gip stesso Alfredo Montalto che ha disposto l’arresto di Laura Bonafede scrive che risulta «sconcertante» come questi soggetti fossero monitorati da anni ma nessuno era riuscito ad accorgersi che stessero muovendosi a tutela di Messina Denaro.

I loro codici, il loro modo di comportarsi lasciavano intendere una normale quotidianità di mafia non una certosina assistenza al boss. Laura Bonafede quindi assiste Messina Denaro ma gli inquirenti non sanno più chi è Messina Denaro e ciò permette a Laura Bonafede di curarlo in totale tranquillità e nel tempo tra i due nasce una relazione. Questa è una debolezza legarsi alla propria vivandiera perché la sua frequentazione smette di essere legata alla necessità e inizia a diventare condizione di volontà.

Leggendo la documentazione negli atti giudiziari le lettere che si scrivono mostrano un sentimento corrisposto e continuato: «Penso che… ci apparteniamo, nel bene o nel male ci apparteniamo e questo è un dato di fatto». E ancora: «Mi manca tutto, anche guardare un film assieme».

Accade poi che Messina Denaro deve cambiare luoghi avvertito della pressione delle indagini e per farlo deve immergersi nella vita di un altro, fa sempre così per affondare nelle sabbie mobili, chi lo cerca non lo trova perché nella caccia trova sempre orme di altre persone, il boss crea avatar esistenti in cui scomparire. E allora va a vivere nella casa del cugino di Laura, Emanuele Bonafede ma lui è sposato e quindi la convivenza sarà anche con la moglie Lorena Lanceri.

Laura è infastidita dal tempo che il boss trascorrerà con la nuova vivandiera e un giorno vede l’Alfa Romeo con cui Messina Denaro si muoveva, proprio sotto casa della coppia «stranamente non mi sono arrabbiata (per camuffare scrive di sé al maschile qui riporto al femminile, ndr) , non sono andata su tutte le furie come di solito mi succede. Mi ha dato parecchio fastidio, questo non lo posso negare. Mi ha dato fastidio non sapere cosa stessi facendo in quel momento, non sapere se eravate soli, se ti saresti fermato ancora a lungo, se… se… se… potrei dire mille se…».

E Laura non stava delirando, effettivamente anche con la seconda vivandiera era nata una relazione come tracciato in una lettera che Lorena scrive al boss: «Il bello nella mia vita è stato quello di incontrarti, come se il destino decidesse di farsi perdonare, facendomi un regalo in gran stile. Quel regalo sei tu… Penso che qualsiasi donna nell’averti accanto si senta speciale ma soprattutto tu riesci a far diventare il nulla gli altri uomini».

Mentre migliaia di poliziotti lo cercano, e milioni di euro vengono investiti per catturarlo una sola persona riesce a monitorare ogni suo movimento ed è Laura Bonafede la vivandiera la cui gelosia è così forte che incolla i suoi occhi su Margot (nome in codice dell’alfetta con cui si muove in paese Messina Denaro) per capire come si sta muovendo il suo amato.

E il boss che riesce a muoversi libero mentre lo ricercano le squadre d’élite dei carabinieri teme invece solo che gli occhi di Laura lo becchino, e infatti quando deve utilizzare l’altra vivandiera Lorena (nome in codice Tramite) per muoversi è proprio a Laura che chiede il permesso. «Devo dirti allora che me lo hai chiesto tu se potevi fare un giro con Tramite? — aggiunge —. Lasciamo stare il telo macchiato che poteva essere un’illazione. Ma il salire in auto nella piccola stradina. Te lo ripeto: io ti conosco. È vero sai recitare, ma capisco quanto sei coinvolto quando parli di qualcuno».

Il telo a cui fa riferimento probabilmente è un telo mare macchiato trovato nell’auto del boss che per Laura era prova di un rapporto amoroso consumato in auto tra i due.

Probabilmente Messina Denaro riuscì a convincerla che erano supposizioni fantasiose ma Laura va oltre le prove biologiche di un rapporto sessuale, lei lo conosce e legge da come parla di Lorena il suo coinvolgimento e stigmatizza il fatto di averla incontrata dandosi appuntamento in una stradina, tutti segnali per lei di un coinvolgimento amoroso reale.

Sente di essere esclusa dalla sua vita, il boss aveva in più occasioni dato buca e lei lo fa notare: «Caro Amico mio oggi ho rispettato nuovamente l’appuntamento di sabato ma niente, non ho visto…».

A quel punto lo cerca, lo cerca e ancora lo cerca a differenza della polizia lei lo scova sempre. E gli scrive: «Passando da lì ho visto Margot (sempre l’alfa romeo di Messina Denaro) e questo mi ha fatto tanto piacere perché in questi 6 giorni non sapevo più cosa pensare […]. Ho provato un po’ di sana gelosia, puoi capire anche perché. Io non posso partecipare a niente e gli altri si ma va bene lo stesso, almeno so che ti muovi, che puoi uscire con Margot e che continui con le tue abitudini».

La cosa che le pesa è che lei essendo una «moglie» con marito in carcere non può partecipar a nessun incontro con altre persone a differenza dall’altra vivandiera che invece avendo un marito accanto può partecipare a incontri con Messina Denaro. Per anni Laura è stata la sua vivandiera e non sopporta ora il cambio, avevano vissuto insieme nel «tugurio», così viene chiamato l’appartamento: «Stavamo bene in quel posto: sì, ero felice di trascorrere quel tempo insieme, penso che lo sapevi che era così».

La crisi che nasce con le vivandiere indebolisce il boss, esattamente come nella fenomenologia di tutte le relazioni d’amore, l’assenza si tramuta in rancore, la cura in rabbia, legarsi sentimentalmente alla vivandiera significa sottoporre il rapporto alle regole della passione ossia transitorie, lunatiche, emotive quindi rancorose, irrazionali, ossessive, tossiche.

Avere vivandieri con cui non si hanno rapporti sentimentali o di amicizia significa poter contare su una garanzia di continuità e una affidabilità igienicaI sentimenti sono volubili e in latitanza l’instabilità lascia pericolose brecce. Questa crisi tra le due vivandiere probabilmente spinge Messina Denaro a farsi gestire da uomini, la sua identità ultima è quella del fratello di Emanuele Bonafede, Andrea Bonafede nella cui vita decide di nascondersi mentre prova a curarsi dal cancro ma non servirà, qualcuno lo vende, qualcuno non lo protegge più e i carabinieri finalmente capiscono non dove si trova, tutti l’hanno sempre saputo, ma chi era Messina Denaro.

Il boss ha violato uno dei pilastri del codice d’onore di Cosa Nostra che impedisce di poter avere relazioni con le donne d’onore ossia con le mogli di uomini d’onore. La moglie di un affiliato è moglie per sempre e intoccabile, si può risposare ma non con un altro uomo d’onore né un affiliato può stare con lei. Mai.

Laura Bonafede è proprio sposata con un uomo d’onore Salvatore Gentile e Lorena Lanceri è sposata con Emanuele Bonafede (probabilmente affiliato «riservato» ossia membro sconosciuto alla parte maggiore dell’organizzazione) ma Messina Denaro ha avuto relazione con entrambe che nel codice di Cosa Nostra significa indebolire la propria credibilità e sicurezza. Messina Denaro ha iniziato ad aprire varchi per la sua cattura nel momento in cui ha iniziato a violare le regole su cui si fonda l’edificio delle organizzazioni criminali italiane, non ragionare in altro modo che razionalmente e spietatamente.

In sintesi la filosofia mafiosa è chiara e tracciabile in queste proposizioni: nascere è una sventura, amare è una stupidità, provare emozioni è una debolezza, il potere è l’unico scopo così da poter scegliere in che posto stare tra le uniche due possibilità a disposizione per chi vive in questo mondo: fottere o essere fottuto.