Non possiamo difendere solo la libertà di stampa dei conduttori che ci sono simpatici e non sono di destra

(FRANCESCA FAGNANI – lastampa.it) – La vicenda della sospensione del programma di Massimo Giletti Non è l’Arena è un brutto segnale, da tanti punti di vista. Innanzitutto, per le persone che ci lavorano e non solo per lo stipendio alla fine del mese, che per quanto prioritario sia, non vale più della dignità e dell’orgoglio professionale di chi ci collaborava. Ma è un pessimo segnale che riguarda anche noi che facciamo informazione, a cominciare da quella difesa della libertà di stampa per cui in tante altre occasioni (e giustamente!) ci si è stracciati le vesti. Qui, invece, la libertà di stampa finisce dove inizia quella di uno che ci sta antipatico, verrebbe da dire, parafrasando il noto detto. Già perché, la decisione improvvisa di chiudere Non è l’Arena ha scatenato immediatamente un profluvio di illazioni. Alcune delle quali palesemente false, altre fuorvianti, altre screditanti verso lo stesso Giletti. Da subito, è stata fatta circolare una notizia importante e preoccupante e cioè che ci sarebbe stata una perquisizione a casa del conduttore e negli uffici della produzione. Ad una veloce, quanto facile – e magari doverosa – verifica dei fatti, la notizia è risultata falsa, smentita tra l’altro dal diretto interessato. In molti poi, hanno fatto riferimento alla solita soap opera della trattativa Giletti-Rai per tornare all’ovile, che va avanti da anni, ma che stavolta avrebbe inasprito a tal punto i rapporti con l’editore de La 7 Urbano Cairo da convincerlo a chiudere di botto il programma. Ma anche fosse vero – è il mercato, bellezza! – si chiude una trasmissione di peso per questo, due mesi prima della fine già prevista? «Ah ma gli ascolti bassi», «Ah, ma costa troppo», si è aggiunto, ma se così fosse lo avrebbe precisato la rete.

Non basta. Il vero problema, si è poi scritto, è il cachet corrisposto per le famose ospitate a Salvatore Baiardo, uomo a disposizione dei fratelli Graviano, condannato per favoreggiamento. Argomento che pone certo un tema di opportunità, ma che La 7 non ha di certo scoperto l’altro ieri, visto che Baiardo è comparso per mesi nello studio di Giletti e tutti ne hanno dovuto dare notizia per quella “profezia” sull’imminente resa dell’allora latitante Messina Denaro. Ad aggiungere discredito, è stato anche detto, infatti, che Giletti avrebbe pagato Baiardo, sottobanco e in nero. Un’indiscrezione rivelatasi anch’essa falsa.

Senza proseguire oltre nell’elenco dei rumors, tutti più o meno orientati nella stessa direzione, colpisce che non ci sia stata da parte del mondo dell’informazione, salvo poche eccezioni, quella forte e partecipata levata di scudi che abbiamo visto quando chiusero, per esempio, la trasmissione di Sabina Guzzanti Raiot, un atto di evidente censura, fu considerato da tutti. Senza dire per citare i casi più clamorosi dell’indignazione e della mobilitazione provocate vent’anni fa dall’editto bulgaro, pronunciato da Sofia dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nei confronti di Michele Santoro, Enzo Biagi e Daniele Luttazzi, estromessi dalla Rai. Cosa ha di diverso Giletti da loro? Non è di sinistra, anzi mostra confidenza con i leader della destra, ammicca da piacione alla telecamera e piace più alla pancia del suo pubblico che ai critici e ai colleghi. Ma allora come funziona la difesa dell’informazione? Vale solo per chi ci piace? Non dovremmo difenderla sempre e a prescindere dai nostri gusti personali?

Massimo Giletti da anni si occupa di mafia e di altri argomenti delicati, alternandoli in verità a temi ben più leggeri e acchiappa-ascolti. Piaccia o no il suo stile, si valuti favorevolmente o meno la sua capacità di approfondimento, di fatto negli ultimi mesi ha animato il dibattito pubblico, toccando materie scottanti. Per altro non si dimentichi che da anni il conduttore di Non è l’arena vive sotto scorta per le inchieste condotte sulla mafia. In più, gli articoli pubblicati ieri, a firma Marco Lillo, Lirio Abbate e Giacomo Amadori, su giornali diversissimi tra loro, hanno raccontato un fatto importante, ovvero la convocazione di Giletti da parte dei magistrati di Firenze Luca Tescaroli e Luca Turco; i pm cercavano la conferma dell’esistenza di una foto scattata ad Orta, agli inizi degli anni ’90 che ritrarrebbe insieme il boss Giuseppe Graviano, il generale dei carabinieri Francesco Delfino e Silvio Berlusconi. Giletti ha confermato ai magistrati che Baiardo gli aveva mostrato quella foto, non escludendo che lo avesse fatto per ricevere in cambio credibilità e soldi; Giletti gli rispose che avrebbe dovuto far esaminare la foto per verificare se fosse un falso. Una vicenda inquietante che ha portato all’apertura di un fascicolo.

Ad oggi, non si conoscono le ragioni reali della brusca chiusura di Non è l’arena, decisa da Urbano Cairo – che replicando indirettamente a Giletti che a Striscia aveva detto: «L’Italia non è ancora pronta ad ascoltare certe verità, fa più comodo tenerle nei cassetti» – ha dichiarato: «Giletti ha condotto in sei anni 194 puntate di Non è l’Arena dove ha potuto trattare in libertà tutti gli argomenti che ha voluto, inclusi quelli relativi alla mafia sulla quale ha fatto molte puntate, con tutti gli ospiti che ha voluto invitare». È sicuramente vero, ma proprio per questo bisognerebbe allora, nell’interesse di tutti e non solo del conduttore e della sua redazione, conoscere il motivo di questo secco e definitivo stop al programma, da un giorno all’altro.