(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – I francesi lo chiamano “collage’’, ovvero il combinarsi di attaccamento e disamore, il più sgradevole tra i legami. Il “collage’’ disegnato dal presidente francese Macron al termine della visita in Cina è fissato in due parole “autonomia strategica’’: nei confronti degli Stati Uniti. Si parla di Taiwan ma la larghezza del concetto è evidente. Un invito rivolto agli Stati dell’Unione europea a “non essere solo dei seguaci dell’America’’. Per chi ha memoria si sente l’eco di antichi accenti chirachiani: un’altra crisi, allora, la seconda guerra d’Iraq quando la Francia rifiutò di allinearsi alla guerra di Bush, di obbedire ai demoni bugiardi della megalomania di quella Amministrazione americana. Venti anni fa: già un’altra epoca, un tempo inabissato.

E riecco la vecchia Francia con l’attaccamento vischioso alla propria conservazione, che qualche volta è arretratezza, ristrettezza e depressione, ma che sa trovare accenti forti e profondi di indipendenza e vitalità. Sì. Come ricorda Macron il troppo americanismo può immiserire, come l’esperienza anche recente dimostra. Un pizzico di anti americanismo può essere corroborante. E necessario.

Gli Stati Uniti sono gli unici alleati possibili visto che sono parte di noi, della storia dell’Occidente, padri fondatori, con la Francia rivoluzionaria dell’89, della democrazia del diritto. Ma qualche volta sbagliano, quando la combinazione di idealismo e di potenza diventa una maschera dell’istinto di controllo del mondo.

Macron rammenta all’Europa che la sua qualità migliore è di non voler essere mai solamente sé stessa. Dal che discende una domanda semplice e brutale: che ruolo vuole svolgere l’Unione nel nuovo disordine mondiale? Che è la conseguenza del delitto perfetto commesso da Putin il 24 febbraio, l’assassinio del vecchio ordine in cui la sua autocrazia prepotente, alla lunga, non aveva posto e ragione di esistere.

Perché questo è il problema. Più che Taiwan, più che l’Ucraina. Il mondo si sta riorganizzando, l’Eurasia è di nuovo al centro della grande scacchiera, vi rinascono blocchi contrapposti, militari, economici, culturali. Dall’Asia al Medio Oriente all’Africa quindi ognuno cerca il suo posto nei due schieramenti, una emulsione ancora fluida e malsicura di sé, per trovare protezione, vantaggi, potenza. I piccoli despoti nelle zone grigie intravedono straordinarie possibilità di ricatto e di stipendio. Nulla di quello che sembrava consolidato ed infrangibile nella breve epoca della supremazia planetaria americana ha più valore. Molti dei suoi vecchi incanti sono quasi tutti sfumati.

La Storia in fondo è un seguito di annientamenti sommari di imperi “eterni’’. Tutti le strategie che hanno preso un carattere netto sono trappole micidiali. Macron in modo provocatorio ci dice che questa Europa indefinita, finora al rimorchio senza discussioni della politica americana, almeno è una trappola che forse non si è ancora chiusa. Perché, consapevoli della propria debolezza, gli Stati Uniti accelerano nello stringere i bulloni, militari, economici e culturali, all’interno del Limes, promuovono i “federati’’ e i “clientes’’ che più appaiono battaglieri e risoluti come i polacchi, gli ucraini, Taiwan. La Francia, e forse la Germania, sembrano tentati da quello che era il progetto di De Gaulle, grande utopista e grande negatore del presente, far finire l’Europa disegnata a Yalta la cui politica si svolgeva a rime obbligate, stretta da due imperi decisi a tenerla nei vecchi stampi. Per inventarne una affrancata e nuova.