(Massimo Gramellini – corriere.it) – In un famoso liceo milanese, il Berchet, sta succedendo qualcosa: dall’inizio dell’anno si sono già ritirati cinquantasei studenti e oltre trecento hanno dichiarato di soffrire d’ansia e di sentirsi vessati dagli insegnanti. Il Berchet è un caso clamoroso, ma non isolato: segnalazioni simili giungono da decine di licei in tutta Italia. Non basta la clausura durante la pandemia a spiegare l’ipersensibilità delle nuove generazioni, né si può credere che i professori di oggi siano più esigenti di quelli di un tempo. A essere cambiata è la percezione della realtà da parte dei ragazzi. Quando il prof di matematica, esasperato dal mio analfabetismo algebrico, strillava «Gramellini sei il numero primo dei cretini», io facevo spallucce: al limite ne parlavo con mio padre, che ovviamente dava ragione a lui e mi invitava a reagire «da uomo», studiando di più. Adesso a me verrebbe l’esaurimento nervoso e papà mi cambierebbe di scuola. Ma nel 1978 non dovevo vedermela con i social che giudicano e commentano ogni singolo gesto e parola. La mia fragile autostima poteva rafforzarsi un po’ alla volta senza essere sottoposta agli stress-test che nell’era del telefono tascabile la bombardano da mattina a sera.

Non saprei come aiutare questi ragazzi a farsi una corazza più spessa, però sarebbe riduttivo derubricare le loro ansie paturnie da viziati, sentenziando pomposamente: «Ai miei tempi…». I nostri tempi non esistono più. Questi sono tempi nuovi, per i quali servono parole nuove.