Servono competenze professionali adeguate (e in quantità sufficiente), la capacità di lavorare in modo cooperativo, la strumentazione tecnologica necessaria. Non sono caratteristiche che si costruiscono da un momento all’altro. Per questo è importante non cambiare continuamente le regole

Dal Rdc al Mia, ecco i consigli per migliorare i sostegni e aiutare davvero i poveri

(di Chiara Saraceno – repubblica.it) – Attuare concretamente una misura complessa di sostegno al reddito quale è stato il Rei prima, ora il Rdc e in futuro il Mia, stante il suo carattere insieme economico e di attivazione/inclusione sociale, richiede più strumenti gestiti da soggetti diversi: Inps, servizi sociali comunali, ambiti territoriali sociali, centri per l’impiego, innanzitutto.

Questi devono essere in grado non solo di attuare tempestivamente e con appropriatezza gli specifici compiti loro assegnati dalla normativa, ma anche di coordinarsi e comunicare tra loro e con le altre istituzioni e soggetti utili, quando non essenziali, a livello locale per le misure di attivazione e inclusione sociale: imprese, associazioni della società civile, enti di terzo settore.

A questo scopo occorrono competenze professionali adeguate e in quantità sufficiente, la disponibilità e capacità a lavorare in modo cooperativo, la strumentazione tecnologica necessaria. Non sono caratteristiche che si costruiscono da un momento all’altro: ci vuole tempo, una dirigenza attenta, disponibilità a ridefinire procedure e a prendere iniziativa, risorse umane ed economiche adeguate, conoscenza del territorio, costruzione di reti di informazione e collaborazione.

Per questo è importante non cambiare continuamente regole e attribuzione di responsabilità su chi fa che cosa, interrompendo processi organizzativi, costruzione di gruppi di lavoro, acquisizione di saper fare, come è invece successo nel passaggio dal Rei al Rdc ed ora potrebbe avvenire di nuovo con il Mia.

Mentre nel dibattito pubblico sul Rdc l’attenzione è stata rivolta alle supposte “colpe” dei beneficiari descritti come restii ad ogni attivazione, scarsa o nulla attenzione da parte della politica è stata prestata alle dimensioni organizzative e alle loro possibili criticità, pure messe in luce da diverse ricerche.

Proprio su queste si concentra la ricerca che Inapp ha fatto per il secondo anno sui beneficiari di Rei e Rdc e sui servizi coinvolti nella messa a punto delle misure di attivazione e di condizionalità (patto per il lavoro e patto di inclusione sociale) che devono accompagnare il sussidio monetario. Ne emergono criticità organizzative cui si deve gran parte della mancata “attivazione” dei beneficiari e cui occorre porre rimedio prima di inventare un nuovo strumento.

All’interno di una grande eterogeneità di carichi di lavoro e risorse professionali e tecnologiche disponibili, e di una generale carenza di personale, il primo dato problematico riguarda la insufficiente interoperatività dei sistemi informativi dei diversi soggetti istituzionali coinvolti.

Poco più della metà degli ambiti territoriali sociali dichiara il proprio sistema informativo interoperabile con le piattaforme digitali previste dalla normativa Rdc per la gestione dei Patti (57,1%) e con il Sistema informativo unitario dei servizi sociali (Siuss) (51,9%). E solo circa un terzo sostiene che i propri sistemi informativi sono interoperabili con quelli dell’Inps.

Una percentuale ancora più bassa dichiara di possedere sistemi operativi interoperabili con Servizi sanitari e/o territoriali. E il 71,3% degli Ambiti non ha sistemi informativi interoperabili con il Sistema informativo unitario delle politiche per il lavoro. L’85,5% dei Centri per l’impiego dichiara di non avere un sistema in grado di dialogare con quello dei servizi sociali, il 74% con i sistemi informativi territoriali, il 57% con quello dell’Inps, il 44% neppure con il Sistema informativo nazionale delle politiche del lavoro.

È evidente come ciò renda difficile, se non impossibile, non solo integrare e coordinare i diversi interventi, ma anche monitorare quello che succede. È una questione di insufficienti dotazioni tecnologiche e professionali, ma anche di malintese rivendicazioni di autonomia da parte dei diversi soggetti.

Queste criticità si traducono anche in lentezza nella attuazione delle misure di attivazione e condizionalità, che pure costituiscono una delle caratteristiche qualificanti di queste misure. Così, a detta dei servizi, passano circa quattro mesi e mezzo tra l’autorizzazione ad ottenere il Rdc rilasciata dall’Inps e la presa in carico del beneficiario da parte dei Centri per l’impiego.

Solo la metà dei Centri risulta in condizione di convocare entro i 30 giorni prescritti dalla norma i beneficiari, ed è solo il primo passo cui dovrebbero seguirne altri più concreti. Data la diversa numerosità dei beneficiari a livello territoriale, i tempi di attesa sono più ridotti al Nord, tre mesi e mezzo, contro cinque mesi e mezzo al Sud.

Queste medie nascondono situazioni ancora più gravi. L’indagine campionaria sui beneficiari segnala, infatti, che passano quasi otto mesi prima di essere chiamati dai servizi. E il 42% dei beneficiari Rdc intervistati era ancora in attesa di essere convocato al Centro per l’impiego o ai servizi sociali (valeva per il 54,6% dei beneficiari Rei). È un tempo inaccettabilmente lungo, tanto più nella prospettiva del Mia che, oltre ad escludere molti poveri, ridurrà drasticamente i tempi di fruizione.

C’è il rischio concreto che si perda il beneficio prima di aver avuto un contatto con un Centro per l’impiego o i servizi sociali, per non parlare di offerte di opportunità di formazione, di lavoro o di sostegno per l’integrazione sociale. Invece, o almeno prima, di rafforzare le condizionalità e restringere l’accesso al sostegno al reddito, sembra indispensabile creare le condizioni perché queste siano esigibili (e monitorabili).