Lo sciopero di ventiquattr’ore proclamato la settima scorsa dai giornalisti del Gruppo Gedi, già Gruppo editoriale L’Espresso prima dell’infausta cessione alla Fiat di John Elkann, è la classica punta di un mastodontico iceberg: la crisi dell’editoria e in particolare […]

(di Giovanni Valentini – Il Fatto Quotidiano) – “Creare e garantire le condizioni per una stampa indipendente è compito che interpella le istituzioni, la società civile nelle sue diverse articolazioni, l’industria dei media, la coscienza professionale di ciascun giornalista” (dal messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Congresso della Federazione nazionale della Stampa – Roma, 14 febbraio 2023)

Lo sciopero di ventiquattr’ore proclamato la settima scorsa dai giornalisti del Gruppo Gedi, già Gruppo editoriale L’Espresso prima dell’infausta cessione alla Fiat di John Elkann, è la classica punta di un mastodontico iceberg: la crisi dell’editoria e in particolare della carta stampata. A far scattare la protesta è stata una dichiarazione quantomai infelice dell’amministratore delegato, Maurizio Scanavino, nominato anche direttore generale della Juventus dopo lo scandalo delle plusvalenze fittizie. E già questo è un “doppio incarico” che appare quantomeno inopportuno. “Tutte le testate sono in vendita”, ha annunciato Scanavino ai Comitati di redazione, come se si trattasse appunto di calciomercato, salvo poi trincerarsi dietro una mezza smentita che non smentisce niente (“interpretazione capziosa”).

Fatto sta che Gedi ha cominciato a smantellare da tempo il gruppo editoriale costruito da Carlo Caracciolo ed Eugenio Scalfari, vendendo alcuni quotidiani locali e addirittura il glorioso settimanale L’Espresso. Una progressiva liquidazione, a prezzi di saldo, che ora minaccia perfino Repubblica. Hanno ragione perciò i giornalisti a preoccuparsi, denunciando che “la logica del vantaggio economico si è rapidamente sostituita a quella dell’interesse per i territori e l’informazione”. Colpisce piuttosto il silenzio assordante di Ezio Mauro che di quel giornale è stato direttore per vent’anni.

Questo, tuttavia, è soltanto il sintomo di una crisi più generale che coinvolge ormai la gran parte dei quotidiani. È una crisi che viene da lontano e non riguarda soltanto l’Italia. Ma qui assume il rilievo di un’emergenza democratica per la concentrazione dei quotidiani nelle mani di pochi editori, o meglio proprietari: una stampa padronale che spesso e volentieri fa disinformazione, influendo così sulla formazione dell’opinione pubblica e sull’aggregazione del consenso.

Il peggio è che alcuni di questi giornali, orientati prevalentemente a favore del centrodestra, ricevono finanziamenti dallo Stato pur avendo un editore alle spalle: da Libero (2.773.555 euro nel 2021) che appartiene all’imprenditore della sanità ed ex parlamentare di Forza Italia Antonio Angelucci, già proprietario del Tempo di Roma e più recentemente del Giornale, in lizza per acquistare anche il quotidiano La Verità; fino al Foglio (933.228 euro) organo della “Convenzione per la Giustizia”, la cui testata è detenuta dall’immobiliarista Valter Mainetti. Mentre a un altro immobiliarista, Francesco Gaetano Caltagirone, fa capo una catena di giornali che non ricevono sovvenzioni pubbliche come Il Messaggero di Roma, Il Mattino di Napoli, il Gazzettino di Venezia, il Corriere Adriatico il Quotidiano di Puglia. E lo stesso presidente della Federazione editori, Andrea Riffeser Monti, erede dell’ex “petroliere nero”, controlla a sua volta La Nazione (Firenze), Il Resto del Carlino (Bologna), Il Telegrafo (Livorno) e Il Giorno, fascicolo comune che raggruppa i tre quotidiani sotto il marchio QN Quotidiano Nazionale.

Sono belle parole, dunque, quelle del presidente Mattarella citate all’inizio. Ma, senza uno Statuto dell’Editoria che limiti le partecipazioni degli editori “impuri”, riduca le concentrazioni e favorisca le cooperative dei giornalisti, sono destinate purtroppo a restare lettera morta. E senza una stampa indipendente, rischia di morire anche la democrazia.