Duecentomila morti sono un’intera generazione spazzata via sui due fronti della guerra. Gli ideologi in spolverino parlano di vittoria, come nel 1914 ci siamo abituati al dogma bellicista

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – Siamo una generazione che si è smarrita nella Storia. Nella guerra in Ucraina contiamo le cose distrutte o esaurite, i congegni bellici consumati e da sostituire. Non contiamo più i combattenti spezzati, feriti, amputati. La guerra avanza nel suo processo di disumanizzazione, riduce l’uomo a cosa, nel furore, comodo, di combattere una guerra a distanza solo alimentandola di congegni e denaro, in Occidente stiamo perdendo contatto con il genere umano. Chi tra cento anni leggerà le peripezie lunghe e sanguinose della storia dei popoli alle frontiere d’Ucraina, stupefatto, si accorgerà che, nei resoconti, c’è la minuziosa contabilità dei carri armati distrutti e che devono essere rimpiazzati, dei proiettili necessari ogni giorno alle artiglierie, degli avanzi negli arsenali, fissata con la precisione di un cambusiere. Invano cercherà l’elenco delle perdite, dei fuori combattimento umani.
Le tragiche cifre dei civili uccisi, quelle sì vengono riferite in dettaglio, ma strumentalmente, perché servono ad accusarsi l’un l’altro di crimini infami e di massacri illegittimi.
Ma i soldati eliminati? Quelli sono altri numeri, colossali. Decine di migliaia certamente, si sussurra duecentomila almeno, una intera gioventù, russa e ucraina, aspirata, spazzata via per riassumere nel proprio morire la storia reale, non epica, solo sanguinante del secolo. Metteremo un trattino vuoto, con i loro sogni crollati, la barbarie. E la vertigine della caduta, il declino, la autodistruzione della guerre mondiali…solo abisso dell’oblio? Forse alla fine…quando avremo vinto e la faremo pagare allo sconfitto. Le cifre degli obitori e dei cimiteri sono l’unica dato che restituisce il senso vero della guerra.
Si sente soltanto, da una parte e dall’altra, l’idea paranoica della vittoria. Vittoria… Questa parola d’ordine, sulla lingua, ha un sapore di acqua tiepida. Ideologi primitivi, i «maitres à penser» con penna e spolverino, a Occidente e a Oriente, nella democrazie e nella tirannide, con libelli arroganti ne proclamano la assoluta, indiscutibile necessità. Poi si faranno, assicurano, i conti. Come fosse, vincere, un astratto calcolo industriale, il saldo numerico di una catena di montaggio. Ho ascoltato alla radio per mezz’ora un analista, un esperto di geopolitica illustrare il conflitto in Ucraina, i suoi sviluppi, le strategie perfette, senza far mai riferimento ai morti. Lo giustifico, penso che non abbia mai vissuto una guerra di cui è così astrattamente esperto. Volevo chiedergli: sì tutto giusto. Ma gli uomini? Intendo quelli che muoiono ogni giorno che passa, quelli che hanno ragione, gli ucraini, e quelli che muoiono avendo torto, i russi. Perché anche quelli sono uomini. E chi è lì per dirglielo, che hanno torto mentre la vista si appanna e il cuore invano invoca sangue, che hanno più ragione di morire degli altri? Le vittime sono senza passato. La loro vita è cancellata. Vittime, eppure sappiamo tutti di poterlo diventare.
Non sembrano neppur più pezzi necessari al montaggio, rotelline indispensabili all’ingranaggio, gli esseri umani in uniforme. È già accaduto: agosto 1914. Ce lo ricorda il film tedesco di Edward Berger sodo, violento tratto da «Niente di nuovo sul fronte occidentale» di Remarque, libro cucito con il filo crudele della realtà vissuta. Dalle Fiandre al Carso gli uomini per cinque anni non furono niente. L’assalto: prima ondata tutti uccisi, la seconda la metà, nella terza resteranno abbastanza per prendere le trincee. Nivelle, Cadorna… quanto sono diversi da Gerasimov e Zaluzhnyi? Contava soltanto quanti proiettili di artiglieria erano disponibili per le tempeste di acciaio. I nostri mediocri esorcismi dei tempi della pace, dei diritti e del benessere non sono riusciti. Demoni sono di nuovo all’opera. Efficacemente.
L’ordine di serrare le fila e di annientare il nemico ha già espulso l’ingrediente indigesto, ovvero i caduti. La morte: l’ultima e la maggiore delle paure rimosse dell’Occidente. Perché mai una guerra che facciamo combattere ad altri ma che alimentiamo, dovrebbe farla diventare di nuovo un terribile best seller?
Compio un piccolo esperimento. In fondo all’elenco inesauribile di armamenti e denaro con cui aiutiamo gli ucraini e che gli ucraini ci chiedono, lascio in sospeso una frasetta un po’ filosofica: ma che accadrà quando finiranno gli uomini? Ormai assuefatti al dogma bellicista nessuno la legge nel senso antropologico. Rispondono sicuri: per gli ucraini può esser un problema addestrare reclute per armi sofisticate come quelle che Europa e Stati Uniti forniscono, ma imparano in fretta. Molto di più dei primitivi coscritti di Putin. Non resto né persuaso né convinto. Invece di rafforzare gli apparati di guerra, la morte fisica non dovrebbe essere in fondo ad ogni nostro pensiero, scrutare il nostro mondo e il nostro divenire?
Io intendevo: quando l’ultimo soldato sarà morto che si farà? Gli splendidi carri armati, i mirabolanti cannoni che non conoscono frontiere spareranno da soli? Si farà ricorso ai robot? Dimenticavo: è il grande sogno dell’arte occidentale della guerra. La guerra dei droni, un uomo e un computer che a mille chilometri di distanza può distruggere un esercito. La guerra senza morti, per noi, e con tutti i morti per loro. Finora non ha funzionato. Ma è vero: per scatenare la guerra atomica, l’apocalisse bastano due superstiti.
É come se questa spaventosa deflagrazione avesse stabilito, nella nostra società sgangherata e soddisfatta, di rifiutare la morte, di negarla. La distruzione di una centrale elettrica solleva indignazioni furibonde.
Migliaia di spettatori in rete si incantano di fronte a immagini di carri armati che bruciano come fiaccole annerendo la neve d’inverno, di lanciafiamme che purificano le trincee e i tunnel come se fossero derattizzatori in placido lavoro. Ma gli uomini che erano in quelle armature di ferro bruciati vivi, disintegrati con le munizioni? L’insignificanza dell’uomo è quello che mi interessa della guerra. Faccio una domanda da corte marziale se chiedo: esisteva un modo senza commettere storiche ingiustizie per far si che non morissero? Se faccio la domanda di Heinrich Boll: dove sei Adamo? Adamo, non Lazzaro, perché qui non c’è resurrezione.
E queste di vite umane di cui non si parla?
1)La guerra in Yemen e i profitti Usa
La guerra attuale è iniziata nel 2015, ma anche prima lo Yemen era preda di convulsioni violentissime, con gli Usa che vi hanno condotto incessanti campagne anti-terrorismo.
2)Il cobalto del Congo
Un’altra macelleria, più silenziosa e ancora più dimenticata, è quella che si sta consumando nella Repubblica democratica del Congo. Qui da decenni ormai, vige il caos totale, alimentato dalla guerra infinita che dagli inizi degli anni ’90, quando ci fu il boom dei telefoni cellulari per inciso, devasta l’Est del Paese.
3)Usa e Gran Bretagna cercano di prolungare il conflitto in Siria
4)Jenin, il nuovo massacro di palestinesi e il solito copione dei nostri media
5)Generale Usa prevede conflitto con la Cina nel 2025: “Ciò che conta è la letalità, mirate alla testa”
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“in Occidente stiamo perdendo contatto con il genere umano”
C’arriva adesso Quirico?
Altro Sveltino del Deserto che ricorreva l’aereo per rimanere all’ombra.
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Qurico si chiede: “Faccio una domanda da corte marziale se chiedo: esisteva un modo senza commettere storiche ingiustizie per far si che non morissero?”
Che ipocrita! Questa era la domanda da farsi prima che il conflitto scoppiasse. E la risposta e’ si. Peccato che da questa parte del mondo l’obiettivo era quello di riaffermare la propria egemonia, anche ai confini di casa di quella che, piaccia o non piaccia, e’ ancora una potenza nucleare. Mi verebbe da dire: adesso arrangiatevi, se non fosse che la mia vita e’ a rischio oltre che per i Russi anche e soprattutto per gli USA e zerbini vari.
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(DI GIULIO DA SILVA – ilfattoquotidiano.it) – “Ottime notizie”. Volodymyr Zelensky ha accolto così la decisione degli Stati Uniti e della Germania di inviare all’Ucraina i carri armati pesanti Abrams M1 e Leopard. Armi che il presidente ucraino giudica necessarie per tentare di ricacciare indietro l’esercito russo dai territori conquistati durante la sanguinosa guerra cominciata il 24 febbraio 2022. “Ottime notizie” anche per le industrie mondiali che fabbricano armi, di fronte a una domanda di mercato mai vista.
Le linee di produzione non riescono a soddisfare le richieste, soprattutto per bombe, munizioni e missili, i fatturati si gonfiano, il valore delle azioni in Borsa esplode. Gli azionisti, con cinismo, si fregano le mani. L’invio di missili e le recenti decisioni di mandare a Kiev anche carri armati europei e americani, nuove batterie di missili come i Patriot americani e i Samp-T italo-francesi, oltre alla richiesta di Zelensky (non accolta, per il momento) di avere anche i caccia F-16, l’aereo da combattimento più diffuso nel mondo, premiano soprattutto cinque grandi aziende, tre americane e due europee. In realtà a beneficiarne è tutta l’industria delle armi.
Il caso più eclatante
è quello del gruppo tedesco Rheinmetall, che produce dai cannoni ai carri armati. È la società principale beneficiaria del piano di spesa di 100 miliardi annunciato dal cancelliere Olaf Scholz poche ore dopo che Vladimir Putin ha cominciato i bombardamenti. Rheinmetall si è proposta per rimettere in sesto i Leopard usati che la Germania e altri Stati europei invieranno in Ucraina. Zelensky ha chiesto 300 carri armati. Per il momento è deciso che verranno mandati 90-100 Leopard dalla Germania (14) e da altri Paesi europei e 31 Abrams dagli Stati Uniti. Molti Leopard sono semi-abbandonati, perché da anni si pensava che non sarebbero più stati impiegati in una guerra. La fornitura all’Ucraina potrebbe essere vantaggiosa per l’azienda. Secondo il Financial Times “Rheinmetall, il principale appaltatore della difesa tedesca, potrebbe svuotare le proprie scorte di armi, rimettere a nuovo quelle dei clienti e vendere preziose munizioni per caricare il carro armato”. Nel 2021 Rheinmetall aveva 5,66 miliardi di ricavi e un utile operativo di 594 milioni. I risultati 2022 saranno migliori. Ancora meglio quest’anno: Ubs prevede un balzo dell’utile operativo a 958 milioni. Da quando la Russia ha attaccato l’Ucraina, il prezzo delle azioni dell’impresa tedesca è aumentato da 96,78 euro del 23 febbraio 2022 a 226 del 2 febbraio, +133%, più di ogni altra azienda mondiale di armi. Il valore di Borsa di tutta la società ormai sfiora i 10 miliardi. Quasi il doppio di Leonardo, che è sui 5,5 miliardi. L’ex Finmeccanica fattura 14 miliardi, il doppio del gruppo tedesco, ma ha una redditività inferiore. Anche le azioni dell’ex Finmeccanica, per alcuni anni depresse, hanno beneficiato dell’effetto guerra: hanno segnato un rialzo del 49% in poco più di undici mesi.
Un ulteriore guadagno deriverà dai pezzi di ricambio e dalle munizioni per i Leopard in Ucraina. Ogni carica di munizioni potrebbe costare 6/7 mila euro. Il Financial Times ha calcolato che se ogni carro armato sparasse 20 colpi al giorno, un battaglione di cento Leopard produrrebbe un utile operativo di 100 milioni al mese per i fornitori. Anche i colpi sparati dall’esercito ucraino andrebbero rimpiazzati negli arsenali dei Paesi “donatori”. Sempre lo stesso Financial Times osserva che il costo del rifornimento delle forze armate europee con proiettili da 120 millimetri potrebbe già essere di 6,3 miliardi, secondo l’analista Sash Tusa di Agency Partners. Rheinmetall ha comprato una società di munizioni in Spagna, la Expal Systems, per un valore d’impresa di 1,2 miliardi. Per finanziarsi ha appena emesso un bond convertibile per un miliardo.
Altri affari
per l’industria deriverebbero dalla sostituzione dei carri usati mandati in Ucraina. La Polonia, in cambio dei 14 Leopard per Kiev, vorrebbe nuovi Abrams americani o altri della Corea. I 31 Abrams promessi da Joe Biden a Zelensky saranno costruiti nuovi di zecca da General Dynamics. L’ordine speciale firmato dal governo dovrebbe avere un valore di 400 milioni di dollari. Nel 2022 General Dynamics ha aumentato i ricavi del 2,4% a 39,4 miliardi di dollari e l’utile netto dell’11,3% a 3,39 miliardi. Il portafoglio ordini ha raggiunto il record di 91 miliardi. “Nel 2022 il risultato operativo è stato solido, guidato dall’eccellente esecuzione nei sistemi di combattimento. Abbiamo anche avuto un altro anno molto forte per la cassa”, ha commentato l’amministratore delegato del colosso statunitense della Difesa, Phebe Novakovic. Dall’inizio della guerra le azioni di General Dynamics sono salite del 7%, da 216,27 a 231,41 dollari.
In Borsa è andata meglio invece a Lockheed Martin, il costruttore degli F-35 e degli F-16, gli aerei da caccia tanto agognati dal presidente dell’Ucraina. Nello stesso periodo le azioni della società aerospaziale Usa sono salite del 17,5%, da 388,9 a 457,2 dollari. Nel 2022 c’è stato un calo delle consegne di velivoli e una frenata dei conti, -1,6% i ricavi a 65,98 miliardi e -9,2% gli utili a 5,7 miliardi. Il portafoglio ordini è però aumentato dell’11% a 150 miliardi. Lockheed ha consegnato 141 F-35.
Il principale protagonista delle forniture di guerra è Raytheon, colosso che nel 2022 ha scavalcato Lockheed (insieme fabbricano i missili Javelin) con 67 miliardi di dollari di ricavi (+4,1%) e 5,2 miliardi di utile netto (+36,8%). Raytheon costruisce anche i missili Patriot che Biden ha promesso a Zelensky un mese fa (ma che risultano ancora “in viaggio”). Dall’inizio della guerra le sue azioni sono salite del 5,1% a 96,96 dollari. L’intera società vale 142 miliardi, 25 più di Lockheed. Il suo ad, Greg Hayes, ha detto: “Il flusso di cassa nel 2022 ha superato le nostre aspettative. Siamo ben posizionati per catturare la domanda crescente e prevediamo di ottenere una crescita delle vendite e un’espansione dei margini nel 2023”.
In Ucraina arriveranno anche i carri britannici, 14 Challenger 2. Li costruisce Bae Systems, la prima azienda europea di armi. Dall’inizio della guerra le sue azioni sono cresciute del 42,6%, ora in Borsa vale circa 29 miliardi di euro.
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«Mia madre è morta quando avevo 12 anni, non ho conosciuto mio padre. Sono cresciuto in un orfanotrofio di Tomsk, Siberia. Nel 2018 sono finito qualche mese in carcere ma non ne voglio parlare. Mi sono arruolato nella Wagner a Luglio 2022 perché tanto in Russia, quelli come me erano reclutati comunque e almeno i mercenari pagavano meglio: 240mila rubli (3500 euro) al mese, tre volte più dell’esercito regolare. Ho ucciso, ma mai i civili».
Andrey Medvedev, 26 anni, l’ex comandante del gruppo paramilitare russo Wagner fuggito in Norvegia il 13 gennaio scorso, si racconta davanti all’ennesima birra a un tavolo di Olivia, ristorante italiano nel nuovo quartiere di Tjuvholmen. Parla in russo senza guardare nessuno. Se incrocia uno sguardo, abbassa subito gli occhi. Copre e scopre il volto col cappuccio della felpa nera.
«Nel contratto c’è scritto che ti impegni a “proteggere siti strategicamente importanti e a raccogliere informazioni”» dice. «Invece ci hanno mandato allo sbaraglio fin dalla prima missione: partiti in trenta, tornammo vivi in quattro. So che è difficile credermi ma mi sono arruolato convinto che stavamo davvero proteggendo i russi del Donbass. In una settimana ho invece capito di essere finito in una situazione insensata. Non c’era tattica. Ci comunicavano la posizione dell’avversario dandoci ordini stupidi. Dovevamo pianificare tutto al momento».
Per carità, ci tiene a dirlo: «Ho visto atti eroici da entrambe le parti». I problemi più gravi sono iniziati quando le fila del battaglione sono stato riempite di ex galeotti. Carcerati arruolatisi nei miliziani con la promessa di veder cancellata la loro pena: «Il loro arrivo ha segnato una svolta: siamo diventati tutti carne da macello. Mandati contro i carri armati col solo fucile in mano. E poi vessati al campo. Se qualcuno prendeva che so, un telefonino dal cadavere di un nemico e non lo consegnavano ai capi, gli spezzavano due dita della mano. E chi rifiutava di combattere veniva “terminato” davanti alle nuove reclute come forma di intimidazione da un’unità speciale chiamata Med».
Un acronimo che non sa decifrare ma sospetta che a formare la squadra fossero ufficiali in pensione dell’Fsb, sì, insomma i servizi segreti: ex Kgb. «Durante quei mesi è accaduto una decina di volte. Io ho assistito solo a due, perché poi mi allontanavo. Quell’uccidere insensato dei nostri mi disgustava. Ammazzavano così pure agli ucraini che si arrendevano. Ne ricordo quattro a Klinovoe: non erano un pericolo, ma il Med li “terminò” lo stesso. Nessuno di noi interagiva con loro: si diceva che portava sfiga anche solo rivolgergli la parola».
A quella “sfiga” Medvedev sente ancora di dover sfuggire. La sua paura più grande, è fare la stessa fine del soldato Yevgeny Nuzhin, galeotto volontario di 55 anni adibito all’umile compito di trasportare i cadaveri. Catturato o forse arresosi agli ucraini, era tornato nei ranghi dopo uno scambio di prigionieri. E qui massacrato a colpi di martello, la sua morte atroce ripresa da un video circolato poi sui canali Telegram di Wagner.
[…]Ma i problemi restano. «Sospetta di tutti, pure di chi gli sta dando una mano. Ha già revocato il suo avvocato Brynjulf Risnes più volte salvo poi richiamarlo, tanto che ormai ne ridiamo. Poco fa, dopo aver bevuto non so quante birre, mi ha fatto una scenata terribile, accusandomi di occuparmi di lui per mero interesse».
Per fortuna è intervenuto un anziano: «Un ex militare norvegese lo ha riconosciuto, gli ha dato del coraggioso. Quel riconoscimento gli ha fatto bene. Ma non basta. Per gestire tanta aggressività assimilata, persone come lui avrebbero bisogno di un aiuto speciale. Bisognerà creare un organismo internazionale per curarli: perché è certo, ne arriveranno altri».
Nella lobby del Karl Johan Hotel dove prendono il caffè, Medvedev nel frattempo ritrova il sorriso: «Chiedo scusa per quel che ho fatto. Non ho mai ucciso civili. Sto iniziando a cercare Dio. Spero che la mia testimonianza porti alla condannare dei veri criminali».
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