Ha vinto la guerra? Si direbbe così a sentire il ministro Crosetto, che dalla base Nato di Ramstein ha promesso a Stoltenberg che l’Italia invierà più armi. Si parla di carri armati e di scudi missilistici, armi spacciate per […]

(DI DONATELLA DI CESARE – Il Fatto Quotidiano) – Ha vinto la guerra? Si direbbe così a sentire il ministro Crosetto, che dalla base Nato di Ramstein ha promesso a Stoltenberg che l’Italia invierà più armi. Si parla di carri armati e di scudi missilistici, armi spacciate per difensive per renderle accettabili. Ma nessuno può distinguere tra difesa e attacco quando si tratta di armi. Siamo sempre più coinvolti in una guerra, che finanziamo anche a costo di rendere impossibile la vita dei più poveri, una guerra mai avallata, che procede nostro malgrado e che ormai preferiamo quasi dimenticare. Come se fosse letteralmente uscita dalle nostre menti, prese nel vortice di mille problemi e mille sciagure. Crescono perciò l’ansia, il disorientamento e un malinconico senso di impotenza. Eppure, tra le tante ombre minacciose, si stagliano le nubi di questo terribile conflitto che, dopo quasi un anno, appare irreversibile. Le immagini dei bombardamenti a Dnipro, dei combattimenti a Kherson, passano sui nostri schermi quotidianamente. Sembrano parti dello scenario in cui ci è toccato vivere. Siamo ormai arrivati a questo: la guerra si è normalizzata. Non avremmo mai voluto dirlo, né tantomeno scriverlo. E ancora fino a qualche mese fa, resistevano lo stupore per un conflitto sul suolo europeo, l’indignazione per l’invio di armi, la protesta per l’assenza di negoziati di pace. Adesso l’eccezione della guerra, quella che i bellicisti giuravano sarebbe durata qualche settimana, è diventata la norma, mentre noi abbiano finito per assuefarci. Come se fosse un’ovvietà familiarizzarsi con la guerra, accettare che rientri nel nostro orizzonte. Dimentichiamo volentieri i rischi a cui ci esponiamo (come quelli nucleari alla centrale di Zaporizhzhia), tralasciamo ipocritamente i danni che spedendo armi infliggiamo ad altri, sbandierati invece per benefici. Certo, la propaganda è stata martellante, aggressiva, sfrontata. E continua a esserlo. Gli stessi cliché, le stesse assurde forzature, le stesse mielose menzogne. Ancora adesso c’è chi ripete il ritornello di Vlad il mattacchione che ha combinato questo disastro. Noi che siamo dalla parte del Bene prima o poi ne verremo fuori. Mandiamo più armi per “preparare la pace”. In realtà il fondamentalismo atlantista è diventato una vera e propria religione, con i suoi credo, i suoi dogmi e l’inevitabile crociata.

Non sono ancora chiari gli effetti di quest’inedita dottrina, che sembra far saltare l’opposizione destra-sinistra (in diversi Paesi europei). Quello che conta è lo scontro democrazie-oligarchie. Grazie a questo schema l’estrema destra di Meloni ha potuto insediarsi al governo senza troppi ostacoli. La meraviglia, che persiste all’estero, sottovaluta questo tema. È bastata la nuova professione di fede atlantista per sdoganare i vecchi fascisti. Non parliamo poi di quello che è avvenuto nel centrosinistra, lì dove c’era da aspettarsi dall’inizio una fermezza contro questa guerra. Nel Pd, che ha pagato caro il cieco militarismo della prima ora, destano sconcerto parole come quelle di Elly Schlein, piene di ambiguità, eppure almeno in questo chiare: sì all’invio di armi. In una fase costituente, o ricostituente, come quella attraversata dal Pd, la guerra avrebbe dovuto essere la prima questione all’ordine del giorno, vagliata, analizzata, discussa nei suoi diversi aspetti. Invece tutto viene liquidato in uno slogan imbarazzante. Da Meloni a Schlein il fondamentalismo atlantista si è affermato facendo proseliti e insinuandosi un po’ ovunque, come se fosse ovvio accettare un conflitto europeo, come se fosse normale una terza guerra mondiale. Che dire poi di quel che si preannuncia a breve: Zelensky a Sanremo? Un capo di Stato in guerra che interviene a un festival di canzoni per chiedere che si mandino carri armati, scudi missilistici, ecc. Usare la musica popolare a sostegno della propaganda bellicista è un’abiezione. C’è da augurarsi che quell’opposizione che ancora esiste – dal M5S a SI – chieda conto di una tale scelta. Quest’iniziativa dà tuttavia la misura di quel che succede. In realtà, qui il popolo è e resta contro questa guerra. Il problema, lo sappiamo, è la rappresentanza, la possibilità di esprimere e coagulare quel dissenso che esiste. Non fa dimenticare la guerra Papa Francesco, che la menziona ogni volta, la domenica, il mercoledì, quando può. Le sue parole sono un baluardo contro l’oblio e la normalizzazione. Ma anche il mondo cattolico, che pure sin dall’inizio ha reagito, non riesce davvero a far sentire la propria voce e il proprio peso, quasi a sua volta travolto e frammentato da eventi così tragici e dirompenti. Più passa il tempo e più la pace perde. Si restringono le possibilità di negoziati, si approfondisce il solco, aumentano l’odio e la sete di vendetta, propende a tacere chi pensa che non è con le armi che si risolvono i conflitti tra i popoli. Ma non diciamo ancora che ha vinto la guerra.