Tutti i trucchi della latitanza nei 30 anni da fantasma di Matteo Messina Denaro

Le telecamere eluse, il pizzino dalla Tunisia e quell’intercettazione: il Padrino coperto dalla sua rete

(GIUSEPPE LEGATO – lastampa.it) – DALL’INVIATO A PALERMO. Un cubo di rubik, un rompicapo dietro l’altro detta il tempo alla storia della latitanza di Matteo Messina Denaro catturato dei reparti speciali dei carabinieri e dalla Dda di Palermo ormai quattro giorni fa nella clinica La Maddalena dove era in cura per un «adenocarcinoma e una neoplasia diffusi» al colon. Misteri, tanti. Quelli che potrebbero cambiare la storia d’Italia non si sa se e quando verranno sciolti: l’archivio segreto di Totò Riina lasciato incustodito per 18 giorni nella villa di via Bernini quando l’ex dittatore dei Corleonesi fu arrestato ormai 30 anni fa e che secondo il pentito Nino Giuffrè è proprio nelle mani del boss di Castelvetrano o una fantomatica fotocopia dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Nei covi fin qui individuati e perquisiti dagli investigatori non vi è traccia di tutto ciò.

Messina Denaro, trovato il terzo covo: il momento in cui gli investigatori entrano

Ma in questa incredibile storia di segreti che si combinano come algoritmi a tratti complicatissimi ci sono anche gli anni trascorsi da fantasma, ricercato in tutto il mondo per chiudere una stagione dolorosa e inquietante per il nostro Paese tra stragi e attentati eccellenti, trovato a casa sua, Campobello di Mazara, 11.341 abitanti cittadina in cui nessuno lo ha mai riconosciuto per quello che era davvero «anche se – hanno detto ufficiali dei carabinieri – a un primo, sommario sguardo, nella casa di via San Vito (ex via Cb 31/civico 7) potrebbe aver vissuto da almeno 6 mesi».

Come è possibile? Mistero. O meglio, per dirla con le parole del procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, in carica da pochi mesi, intervistato su un programma di Gedi – «non è possibile evidentemente (che nessuno l’abbia riconosciuto ndr) e però nemmeno così clamoroso come si potrebbe pensare». Ma di evenienze o forse meglio sfortunate evidenze, è lungo l’elenco nella vita da desaparecido dell’ex capo della mafia trapanese. C’è ad esempio da registrare il fatto che le telecamere piazzate dal Ros, in altra rilevante inchiesta, per immortalare gli incontri dei fedelissimi di Messina Denaro di fronte al Bar San Vito di Campobello di Mazara (estraneo alle contestazioni penali) non siano mai riuscite a immortalare il latitante che pure viveva a 100 passi da lì e – di lì, via Vittorio Emanuele – doveva passarci quasi per forza per uscire dalla strada in cui dimorava.

Per chiarezza il tema non è il complotto, ma l’incredibile sequela di interrogativi che avvolge questa continua sparizione nel vento del più grande mafioso ricercato d’Italia. Perché spulciando tra gli atti dell’operazione conclusa lo scorso settembre con 35 arresti tra cui uomini di assoluta fiducia del reduce del triumvirato dei Corlenonesi non a caso indicati nelle intercettazioni come «quelli che appartengono a Messina Denaro», c’è una miniera di incontri fotografati e ripresi tra i boss, in testa Francesco Luppino (che non è parente dell’autista arrestato) uomo di (cieca) fiducia verso l’ex padrino. Le date: 20 ottobre 2019, 10 novembre, 10 dicembre, 21 dicembre, altri incontri figurano nell’anno successivo.

Di “iddu” nessuna traccia. Non un fotogramma, non una ripresa che possa certificare – anche solo per compatibilità – un solo passaggio. Dettagli? Non proprio. Perché i fatti, in un’indagine così complessa, vanno letti insieme e la diagnosi di tumore – che ha sicuramente influito sul ritorno definitivo nella provincia roccaforte del latitante – è stata statuita all’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo (a nome Andrea Bonafede, of course). Prelievo dei tessuti il 17 novembre 2020, esito dell’esame istologico 24 novembre 2020: quasi due anni e mezzo fa, a sua volta compatibile col tempo trascorso dalla ristrutturazione del presunto bunker di Messina Denaro in via Maggiore Toselli. Ergo; la speranza di vederlo c’era, ma lui è rimasto un’ombra. Come quella che aleggia su una strana coincidenza.

Circa 6 anni fa gli investigatori che monitoravano uomini d’onore della provincia di Trapani legati mani e piedi al boss si convincono che c’è un pizzino che deve «tornare» a Mazara del Vallo proprio da lui, in persona. Telefoni intercettati, ambientali ovunque, ma il messaggio scritto non «torna indietro» prima di una decina di giorni. Esattamente la durata dello sciopero dei pescatori del luogo. Ed è lì che più di uno si fa l’idea che Messina Denaro possa essersi temporaneamente trovato in Tunisia.

Ma il copione è stato identico per quando, in passato, si ebbe la sensazione forte che si trovasse all’estero: Inghilterra, Spagna, Sud America. Anche lì, ad ogni passo avanti, indietro tutta perché tornava fantasma. La certezza che fosse vivo, qualcuno aveva pensato anche alla morte, si ebbe a cavallo tra il 2019 e il 2020 quando indagando su una riconciliazione tra la Stidda e Cosa nostra nella zona di Canicattì, in passato opposte in una sanguinosa faida, venne intercettata una conversazione nello studio di un legale. I boss parlavano di destituire un capo storico dell’organizzazione, ridimensionarlo a favore di un ricambio. A dibattito chiuso, l’ambientale capta una conversazione: «Non possiamo, solo Matteo può spostarlo». L’interlocutore non sembra afferrare: «Matteo chi?». «Quello di Castelvetrano». Era vivo, ma anche allora nessuno portò gli investigatori da lui.

4 replies

  1. Già. Perché?. In questo perché retorico c’è una possibile spiegazione della lunga latitanza. Evidentemente negli ultimi anni la strategia degli inquirenti è cambiata e l’utilizzo investigativo delle tecnologie informatiche e di comunicazione sempre più efficaci ha contribuito al successo.
    Anche grazie al fatto che la malattia oncologica con gli interventi e le successive terapie chemioterapiche ha consentito l’incrocio dei dati presenti nel sistema sanitario dopo che in un’intercettazione (nonostante la conclamata ignoranza di Nordio sull”argomento) qualcuno parlò di MMD ammalato di cancro, operato e quindi in terapia in un centro specializzato come poi si è visto alla Maddalena.

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  2. Per sapere chi lo ha coperto ?
    Ebbene mettersi nei panni di un povero cittadino che abbisogna di cure…. vedete voi quanti documenti vi ci vuole e la conoscenza in primis del vostro medico di base,il primo scalino per arrivare poi alle cure.
    Quindi … si parte da li per arrivare a coloro che gli erano intorno,famigliari,amici e conoscenti.
    30 anni sono molti e già questo è un campanello d’allarme,provate voi a darvi alla macchia per una settimana …. già viene allarmata la trasmissione “CHI L’HA VISTO”! hahahha,, povera Italia.

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