(di Elio Grande – civiltadellemacchine.it) – Un singolare pittore immaginato da Alessandro Baricco posizionava il cavalletto sulla linea del bagnasciuga. Intinto il pennello in acqua, lo lasciava scivolare sinuoso sulla tela. Ma non si può dipingere il mare con l’acqua di mare: dopo un istante, ogni tratto evaporava e svaniva. Il Metaverso è così: un’immersione in ambienti dove dovrebbe vigere una certa continuità spazio-temporale e perfino ontologica. Esso dispone infatti la nostra coscienza a strane proiezioni sullo schermo, dove un oggetto immaginario come un pallone da calcio impiega un tempo reale, coerente e calcolabile per raggiungere l’avatar del portiere della squadra avversaria, il quale rimane identico a se stesso lungo l’intera durata del tiro. Il virtuale sembra uguale al reale che comprende in sé l’immaginario.

Qua e là, però, compaiono dei buchi. La latenza anzitutto, cioè il tempo impiegato nella trasmissione di dati da un capo all’altro della linea. Il nostro cervello, in contesti interattivi, ne tollera una soglia minima bassissima. La futura rete 5G minimizzerà i ritardi, ma la struttura fisica dell’internet non può escludere bottlenecks. Il gaming è infatti un gioco di specchi: non stiamo battendo i nostri amici a sparatutto, ma trattenendo ad arte porzioni di mondo per simulare la contemporaneità. Internet è essenzialmente in differita. L’interoperabilità è un altro spettro che si aggira tra le piattaforme: spesso non è consentito, o addirittura incompatibile sotto il profilo dei codici di programmazione, trasportare costosi oggetti digitali progettati per uno standard su un’altra piattaforma. Oppure, per garantire i principi di individuazione e di proprietà di un oggetto virtuale, sono necessarie tecnologie come blockchain e non-fungible token, energivore procedure originate dalle funzioni hash, dispositivi tipici della crittografia. Creare un NFT consuma quanto un appartamento a pieno regime per tre anni.


E se il cielo del Metaverso fosse di carta?