Covid, la mancanza di regole

(di Luca Ricolfi – repubblica.it) – Mai, da quando è scoppiata la pandemia di Covid, l’opinione pubblica si era trovata in uno stato di sospensione come quello attuale. Ad alimentare questo stato d’animo contribuiscono almeno tre fattori.

Il primo è la mancanza di indicazioni concordi da parte del mondo scientifico riguardo alle categorie per le quali si raccomanda la vaccinazione. Dopo l’epoca “vaccinatevi tutti, anche i bambini piccoli”, si è passati a una fase di maggiore moderazione e selettività, in cui l’indicazione prevalente è di vaccinare i cosiddetti fragili e gli anziani (ma la soglia non è chiara: 65 anni? 60? 50?). La ratio di questo mutamento di prospettiva non è chiarissima, e probabilmente è il risultato di un mix di ragioni: con la variante omicron la letalità del Covid appare significativamente diminuita (secondo taluni sarebbe addirittura inferiore a quella dell’influenza); l’elevatissimo numero di infezioni del 2022 ha allargato significativamente l’area dell’immunità naturale; gli studi sugli effetti avversi hanno rafforzato il sospetto che il bilancio costi/benefici del vaccino non sia positivo per tutte le fasce d’età e per tutte le condizioni.

Il secondo fattore che alimenta il nostro stato di sospensione è il cambiamento di governo, da taluni percepito come propedeutico a un sostanziale mutamento di approccio al problema del Covid. Penso che questa percezione sia fondamentalmente errata, in almeno due sensi: nel corso del 2022 il governo Draghi era già diventato ben poco restrittivo, tollerando un numero di infezioni giornaliere che un anno prima avrebbe fatto scattare l’allarme; quanto al nuovo governo, per ora non vi sono tracce dei rimedi (cure domiciliari e ventilazione meccanica controllata) su cui Fratelli d’Italia tanto aveva puntato quando era all’opposizione. Resta il fatto che il cambio di governo alimenta la nostra incertezza su quale politica sanitaria ci riserverà il futuro.

Infine, il terzo fattore di sospensione è la Cina. I tamponi sui passeggeri cinesi in arrivo negli aeroporti di Fiumicino e Malpensa fanno ipotizzare che, in questo momento, i contagiati possano essere mezzo miliardo di persone. Di qui il timore che emergano nuove varianti pericolose, un timore amplificato dall’imminente capodanno cinese (22 gennaio), che farà spostare milioni di persone dai paesi occidentali alla Cina e ritorno. Difficile dimenticare che, nel 2020, l’epidemia esplose in Italia poche settimane dopo quelle festività. E che, anche allora, si pose il problema dei controlli aeroportuali, ben poco efficaci se attuati da un solo paese e limitati ai voli diretti con la Cina.

Che fare, dunque?

La risposta spetta al governo e alle autorità sanitarie. Come comune cittadino, mi sentirei, forse, di raccomandare una cosa soltanto: che una risposta vi sia, e sia motivata. Perché lo stato di sospensione in cui siamo gettati non fa bene né al nostro morale, né alla vita sociale, né all’economia. Dopo tre anni di Covid, quello cui tutti aspiriamo è un ritorno il più celere possibile a un ragionevole regime di (relativa) normalità. Il che significa che ci vogliono regole chiare, e che i mutamenti delle regole devono essere spiegati e resi comprensibili.