Non avevano previsto la resistenza ucraina, non sanno che succede nel campo nemico e hanno pochi informatori. Il conflitto tra Mosca e Kiev segna il fallimento delle intelligence, negli Usa come in Russia. L’esperto Aldo Giannuli, autore di un nuovo libro sul coinvolgimento dei servizi segreti in questa guerra

(Andrea Lanzetta – tpi.it) – Che ruolo ha l’intelligence nel conflitto in corso?
«I servizi segreti hanno seguito molto male la vicenda ucraina già da prima dell’attuale guerra e hanno pochi informatori, soprattutto gli occidentali. Le informazioni che filtrano sono scarse e contraddittorie: cioè ne sappiamo molto poco».

Nel suo nuovo libro “Spie in Ucraina”, edito da Ponte alle Grazie, sostiene che siano stati commessi molti errori in questa guerra, quali?
«Fin dall’inizio hanno sbagliato tutti, dando per scontato che l’Ucraina sarebbe crollata in breve tempo».

Soprattutto a Mosca.
«Da una parte Putin è stato influenzato dalla sbagliata valutazione del ritiro Usa dall’Afghanistan, considerata una tale disfatta che avrebbe dissuaso gli Stati Uniti dall’intervenire in Ucraina, e dall’altra è stato penalizzato dal fatto che le informazioni sul teatro ucraino erano grandemente ingannevoli. All’inizio aveva un piano ed era convinto che in due settimane avrebbe conquistato l’intero Paese, ma così non è andata: l’esercito di Kiev non è crollato e non c’è stato alcun golpe contro Zelensky. Il guaio è che dopo non ha più saputo come uscirne».

Oggi Putin sembra aperto al negoziato.
«In Russia c’è chi preme per la guerra a oltranza, come il presidente ceceno Ramzan Kadyrov o il gruppo Wagner, ma Putin non sembra d’accordo. Prima il ritiro da Kherson, poi il cominciare a parlare di trattative e non accenna più al possibile ricorso alle atomiche tattiche. Sono tutti segnali che vuol chiudere al più presto la guerra».

Quello che nel suo libro chiama il “deep state putiniano” può accettare il negoziato?
«Chi lo sa. Il grosso dell’esercito russo mi sembra la parte meno favorevole alla guerra. In molti tra gli oligarchi, nei servizi e nella Guardia nazionale cominciano a essere preoccupati».

C’è aria di contestazione?
«Ci sono posizioni diverse. Se Putin non vuole una guerra a oltranza, altri, anche per un fatto d’immagine, vogliono che continui. È verosimile ad esempio che agli ambienti dell’industria bellica, l’unica in Russia che esporta (dopo il settore energetico, ndr), non stia bene concludere il conflitto dopo la pessima figura fatta dalle armi nazionali. È probabile che un pezzo del complesso militare industriale prema per proseguire le ostilità, ma non il grosso dell’esercito che anzi è chiaramente imbarazzato».

Un esercito molto criticato, soprattutto da Kadyrov e dai vertici di Wagner.
«Bisogna tenere presente un dato: la maggior parte del dispositivo d’attacco russo è composto da ceceni, mercenari, combattenti siriani e volontari del Donbass, mentre tra i caduti vengono contati solo gli effettivi dell’esercito regolare. Degli altri non abbiamo cifre precise ma sappiamo che solo il gruppo Wagner ha perso quasi la metà dei suoi e che anche i ceceni hanno registrato perdite notevoli. Questo ha creato una spaccatura tra regolari e irregolari».

E il leader russo da che parte sta?
«Putin concede promozioni e medaglie ai ceceni e ai mercenari, mentre continua a cambiare i comandanti dell’Armata russa sul campo. Non credo che questo faccia molto piacere ai militari».

Può emergere un’opposizione “militare” a Putin?
«In Russia c’è una tradizione: ogni volta che è emersa un’opposizione militare al potere politico, quest’ultimo ha sempre vinto. È difficile che, senza appoggi, le forze armate possano riuscire in un golpe. Però il fatto che sin dall’inizio i militari non credessero in questa guerra può gettare luce sulle contrapposizioni tra lo Fsb (l’intelligence civile interna, ndr), che ha spinto per il conflitto e risponde alla politica, e il Gru (i servizi delle Forze armate, ndr), che aveva una visione più realistica. Ma non abbiamo informazioni certe, sappiamo solo che in quel mondo le intelligence occidentali hanno una penetrazione informativa prossima allo zero».

Perché?
«Le guerre in Medio Oriente hanno promosso una forte militarizzazione dell’intelligence in Occidente. Non è un caso che, sul piano operativo, i servizi occidentali siano stati brillanti nel trasporto delle armi e nello spionaggio militare sul campo. Il disastro invece ha riguardato l’analisi del conflitto: non hanno capito la resistenza ucraina, non sanno cosa succede in Russia, non hanno previsto né preparato alcuna risposta alla crisi del grano e del petrolio».

Sembra più un problema politico.
«Innanzitutto, negli Usa, si è sopravvalutata la conversione di Mosca alla cultura neo-liberista e poi, con l’infelicissima frase di Obama sulla Russia come “potenza regionale” c’è stata una costante sottovalutazione di un Paese che dispone ancora di quasi 6.000 testate nucleari. Quindi per quasi vent’anni ci si è concentrati militarmente sul Medio Oriente e politicamente ed economicamente sulla Cina. Ma, oltre a tutto questo, i servizi hanno anche sbagliato la politica di acquisizione delle informazioni sulla Russia. Basta mettere insieme tutti questi elementi per capire cosa non ha funzionato».

Ai fallimenti russi e occidentali, si contrappone il successo dei servizi ucraini.
«Ho intitolato il capitolo sull’Ucraina “L’ircocervo”. Questo Paese ha una caratteristica: ha le gambe e il corpo in Russia e la testa in Europa, il che lo rende particolarmente pericoloso per gli avversari. Per formazione, sanno come combattono i russi, ma in compenso hanno imparato anche altre tecniche dall’intelligence occidentale e questo ha permesso loro di comportarsi in maniera indipendente. Collaborano con l’Occidente ma decidono da soli».

Ne è un esempio l’attacco al Ponte di Kerch, in Crimea?
«Gli ucraini fanno la propria guerra e non si fidano fino in fondo degli Stati Uniti, anche se non arriveranno a una rottura con gli Usa. A Washington però sembrano molto nervosi, per la Casa bianca è ora di trattare ma Biden ha capito che Kiev ha la sua partita da giocare. Vedremo come andrà a finire».

Che contributo può dare l’intelligence a un’eventuale soluzione?
«Qualche anno fa scrissi un altro libro intitolato “Come i servizi segreti stanno cambiando il mondo”. È vero che l’intelligence ha questo potere ma il guaio è che cambia la realtà un po’ a casaccio, cioè con effetti diversi da quelli che dovrebbe e spesso vorrebbe produrre e con un risultato generale piuttosto caotico e contro-intuitivo. Il problema è che ogni servizio va per i fatti propri. A volte, anche le agenzie di uno stesso Paese non condividono una perfetta identità di vedute».

Torniamo alla mancanza di leadership politica.
«Il livello della classe politica, soprattutto in Europa, si è abbassato rispetto a 30 anni fa e ci metto dentro lo stesso Putin, che dopo un abile esordio ha combinato un disastro. Al momento sono rimasti due soli grandi leader politici nel mondo: Xi Jinping e Papa Francesco».