Il pericolo non viene dalle minacce esterne, ma dalle faglie interne. Dovrà crescere rimanendo uno

(LUCIO CARACCIOLO – lastampa.it) – Gli Stati Uniti d’America sono impero di tre imperi. Il primo è il nucleo statale dilagato nel continente nordamericano dall’Atlantico al Pacifico. Il secondo è l’Occidente: the West. Trofeo conquistato nella Seconda guerra mondiale, congiunge al magnete statunitense Nord America ed Europa atlantica mentre variamente si estende a Oceania, Giappone, Corea del Sud e minori Asie per affinità strategiche, economiche e istituzionali (liberaldemocrazia più rule of law). Il terzo è metafisico: la missione che Dio ha affidato all’eletta “Comunità altruistica” – l’“unselfish Commonwealth” cantata nel 1916 da Woodrow Wilson, presidente e sacerdote dell’America in uscita – affinché redimesse l’umanità dai suoi peccati. Insieme, innervano l’intero pianeta e lo Spazio circumterrestre in tutte le dimensioni fisiche, virtuali e spirituali. Né escludono un quarto impero, l’immensità del cosmo, verso cui s’indirizzano le ambizioni di disinibiti pionieri connessi alle agenzie imperiali.
Questa entità suprema si sente in pericolo di vita. Non solo per classica sovraesposizione territoriale, malattia professionale degli imperi. Né tanto per minaccia di sfidanti, nessuno dei quali – Cina inclusa – avvicina l’America. No. Il pericolo è la fusione del nocciolo. Dentro gli Stati Uniti d’America la temperatura sale fino a eroderne legature morali, sociali e istituzionali. Investe e dilania il fattore umano, alfa e omega del convivere. Eccitate dai media asociali, le pulsioni apocalittiche impresse nel genoma americano dal fondamentalismo protestante delle origini e replicate nella corrente deriva nichilista intaccano l’impero interno. Fiorisce una letteratura da ultimo giorno che ricama ossessiva sulla guerra civile all’orizzonte, se non già in corso.
L’America dubita di essere ancora America. I trumpiani sono certi che non lo sia. Make America Great Again significa Make America America Again.
Quando la nazione che non si vuole impero smette di riconoscersi una, s’avvia a perdere sé stessa e il suo mondo. La crisi del primo impero investe il secondo – tra cui noi, affezionata provincia – e oscura il marchio. L’impero non è indispensabile alla nazione. La nazione sì è indispensabile all’impero. Senza marchio ambedue periscono.
Gli Stati Uniti sono l’unico Stato al mondo che al nome plurale accorda il verbo singolare. Efficacissimo modo di evocare il latino del motto “e pluribus unum” (“dai molti l’uno”) che campeggia nello stemma nazionale. Strategia semantica adottata per dirimere nei simbolismi e nella pedagogia ufficiale la frizione tra Stati federati e Stato centrale. Esorcismo contro il separatismo latente che da sempre percorre gli Stati Uniti, cifra segreta della loro (sua) costituzione materiale.
Durante la guerra civile (1861-65) il presidente Lincoln amava ripetere che sudisti e nordisti pregavano lo stesso Dio. E onoravano gli stessi Padri fondatori. Americani con due diverse idee d’America. Comunque esseri umani. Non così oggi, dove le fazioni in contrasto bollano il nemico come “l’altro”, forse nemmeno umano. Tanto è l’odio tra blu e rossi, democratici e repubblicani – le due macrotribù in collisione nell’impero interno – da indurli a reprimere il più alto dei sentimenti, l’amore, se questo si applica a persona dell’altro colore. I matrimoni misti – o dovremmo battezzarli inter-razziali? – fra rossi e blu sono precipitati al 3,6% dal 30% precedente all’avvento di Trump (2016), detonatore della tempesta. I due partiti classici, al meglio cartelli elettorali, sono punti di condensazione di due nazioni, peggio di due razze (il termine race, da noi proscritto o malamente reso in “etnia”, permane nella neolingua burocratica americana oltre che nel parlar comune).
Il discorso pubblico americano è fragore di due camere dell’eco. Nelle quali rimbombano, compresse e irriducibili, istanze locali e corporative, lobby religiose e sessuali, vocazioni eversive o bigotte. Il catalogo delle faglie domestiche è impressionante per quantità e qualità. Solo le principali, con precedenza alle istanze rosse: campagne/metropoli; nativisti/multiculturalisti; credenti/atei o agnostici (già un terzo della fu nazione iperreligiosa); bianchi/neri o variamente colorati; armi per tutti/per autorizzati; aborto vietato/libero; tasse lasche (nulle)/incisive. Sullo sfondo, demografie divergenti: nel Sud trumpista crescono in massima i giovani, nel Nord-Est del venerando establishment liberal proliferano riserve di anziani. Sull’arcipelago delle faglie incombe il macigno che rischia di franare sull’architettura a stelle e strisce: il rancore della classe media impoverita e umiliata da élite che percepisce transnazionali, dunque non americane, e consapevole che in un paio di decenni scadrà al rango di minoranza fra le altre.
Il punto di flesso da cui potrebbe derivare la fine dell’ordine costituzionale sarebbe il tradimento delle Forze armate. Di gran lunga la più rispettata delle istituzioni. Se reparti militari contestassero l’insediamento del presidente eletto perché supposto fraudolento, scatterebbe la crisi di regime. La rivoluzione colorata, tattica americana, si ritorcerebbe contro i suoi inventori. Ipotesi per niente peregrina. Oggi il 40% degli americani approverebbe un colpo di Stato militare per stroncare la “corruzione diffusa”. In maggioranza repubblicani (54%), insieme a un terzo dei democratici (31%).
L’impero dei tre imperi resta in vantaggio sui presunti rivali. Non è affatto condannato alla disgregazione. Purché stabilisca una gerarchia: salvare il primo impero delimitando il secondo e applicando la sordina al terzo. Parola di Platone: «Accrescere lo Stato finché possa, crescendo, rimanere uno; ma oltre questo limite, no».
Basta col vino!
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Caracciolo ovvero quando la vecchiaia fa brutti scherzi
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Chi cresce demograficamente negli Stati rossi del sud sono soprattutto i non- bianchi, principalmente neri e latini. Che salvo il caso degli esuli cubani, sono in larga maggioranza democratici. E i figli, terze o quarte generazioni, che dovrebbero essere più integrati nel proprio contesto (o perlomeno assuefatti) lo sono anche più progressisti dei padri, e a differenza di questi sono più attivi politicamente (all’opposto di quanto accade in Europa, in cui i figli paiono più rassegnati dei padri). Basti pensare al ruolo dei millennials del sud nelle elezioni del 2020 e in quelle del 2022. Hanno reso contendibili molti Stati tradizionalmente repubblicani. Basti osservare che quasi tutte le metropoli del sud sono saldamente a guida democratica (Houston, Atlanta New Orleans, Dallas etc.). La sola eccezione rilevante è Miami- che come tutta la Florida negli ultimi anni ha subito un inversione di tendenza frutto della popolarità di “Sanctimonius”, ma anche dell’incidenza della popolazione anziana (è la casa di riposo d’America) e della comunità cubana. E anche nel sud le aree metropolitane stanno diventando demograficamente preponderanti sulle campagne. Questa trasformazione politica rilevantissima sta avvenendo nonostante molti di quegli Stati del sud applichino leggi elettorali tese a sfavorire la partecipazione al voto delle minoranze etniche. Se il Texas o la Georgia avessero leggi elettorali simili a quelle europee, quegli Stati sarebbero oggi saldamente democratici. Quindi il problema non è Nord-Sud, come fa capire Caracciolo, ma tra città e campagne, razziale e sessuale (l’uomo bianco classe media si sente assediato e pensa di difendere ciò che sta perdendo spostandosi su posizioni sempre più oltranziste: si guardi alle statistiche per gruppi etnici su armi, pena di morte e aborto oggi e vent’anni fa), generazionale. E non potendo più difendere il reaganismo, causa di molti sconquassi economico-sociali che gravano sulla società statunitense (e non solo) e che sono causa della radicalizzazione del bianco classe media- il partito repubblicano si è messo a lisciare il pelo al passatismo e agli estremismi, e questo già prima di Trump, che ci ha messo il carico da 11. Quindi il problema non è Nord-Sud come dice Caracciolo, ma è leggermente più complesso. E ciò non lo rende meno pericoloso, ma certamente molto più stimolante.
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Tu scrivi “ Quindi il problema non è Nord-Sud..”
Ma infatti Caracciolo ha usato la locuzione” Non così oggi…”
Anzi ha detto “sullo sfondo…” cioè marginale rispetto ad altro.
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Quanto sono dispiaciuti i liberal italiani, piangono lo stato pietoso in cui versano gli USA più di quanto non lo facciano gli americani stessi, che è già tanto che ne fossero consapevoli, sempre in bilico sulla guerra civile interna, nel caos più sfrenato, un impero in implosione sotto le sue aberrazioni che ha vorticosamente esportato in ogni dove, perbacco che questi stanno perdendo il faro, la loro luce, il loro riferimento, proprio ora che ci avevano portato su quel modello sembra non reggere, ma coraggio, Caracciolo ha individuato il problema, è Trump, al massimo i repubblicani, il che rende più chiara la via della salvezza
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Dimenticata per un attimo la geopolitica,
Caracciolo partorisce un Ottimo articolo,
Condito da un po’ ironia e qualche esagerazione😂(Se reparti militari contestassero l’insediamento del presidente eletto perché supposto fraudolento, scatterebbe la crisi di regime)
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E secondo te “… Né tanto per minaccia di sfidanti…” sarebbe giusto?
E la guerra in fieri per Taiwan?
Caracciolo lasci la sociologia a chi la “fa di mestiere” e non tragga conclusione affrettate come fai tu.
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Cara Serpe,
Non esiste giusto o sbagliato,
Ma solo causa ed effetto.
Caracciolo accenna a..”Fiorisce una letteratura da ultimo giorno che ricama ossessiva sulla guerra civile all’orizzonte, se non già in corso.”
La chiama “da ultimo giorno”,sminuendola,un po’ con la puzza sotto il naso,perché altrimenti sminuirebbe lui stesso che ha dedicato una vita alla “geopolitica”.
Ma è abbastanza consapevole che questa “nuova” letteratura si confà meglio allo sviscerare le vere cause rispetto alla geopolitica pura.
Se vuoi ti fornisco qualche dritta…credo di sapere,con il beneficio d’inventorio,a cosa alluda.
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