
(Davide Sabatino and L’Indispensabile – lafionda.org) – Che la tecnologia porti con sé sempre una duplice natura, una evolutiva l’altra distruttiva, è fuori discussione. Essendo un’espressione creativa dell’essere umano (come l’artigianato) non può che conservare, ma soprattutto esplicitare, l’ambiguità che costituisce l’umano in quanto tale.
Oggi, però, questo nesso fra la doppiezza dell’animo umano e l’elusività della manifestazione tecnologica ha raggiunto un punto limite. Parlare di realtà aumentata, di controllo digitale, di hackerizzazione della mente, di pilotaggio delle coscienze o di shopping del consenso politico, tramite valutazioni algoritmiche legate ai gusti più o meno consci degli “uomini della folla” (McLuhan), non può diventare in automatico un discorso accettabile. Qualcosa di politicamente “neutrale” o necessariamente da assecondare.
Queste derive del pensiero tecnologico ci appaiono ormai evidentemente alienanti e, per l’appunto, sottolineano l’espressione di quel lato ombra (umano-tecnico) di cui parlavamo. Non c’è in questa considerazione un giudizio moralistico nei confronti del progresso tecnologico, ma c’è piuttosto la denuncia di una naturalizzazione del concetto stesso di “progresso” che sta via via combaciando con l’idea di post-umanesimo. Tutto questo nel silenzio generale di una classe politica stanca e di una claque culturale ignorante e fortemente mistificatoria. Di fatto, ciò che corrisponde al grande non detto è la sottomissione totale all’assunto secondo cui ogni dubbio verso questo tipo di applicazione digitale nella nostra vita quotidiana, dalla carta d’identità al menù del ristorante in QR code, equivale a un’ammissione di appartenenza diretta al gruppo dei luddisti accaniti.
“Il 5G non ha ancora superato la pubertà, eppure i ricercatori di tutto il mondo sono già impegnati nello sviluppo del 6G” – si legge sulla rivista Wired[1], non certo accusabile di avere un approccio rétro. “Oggi il 5G consente funzioni di base, ma il 6G promette una rappresentazione digitale di ogni essere umano, oggetto e ambiente capace di gestire ed elaborare i dati sia individualmente sia collettivamente”. Ora è chiaro qual è il progetto per il nostro futuro prossimo? E quali saranno le ripercussioni nel campo della gestione politica, economica e militare della trasformazione digitale? Inoltre, se tutto diventa mera “rappresentazione”, chi conoscerà l’esperienza di una vita autentica?
Qualche assaggio l’abbiamo avuto in questi ultimi anni, attraverso l’utilizzo di strumenti digitali atti a controllare e a isolare categorie generiche di persone (mai del tutto precisate) ree di aver fatto valere l’antico principio dell’habeas corpus dell’inviolabilità personale. È bastata un’etichetta, una propaganda falsamente scientifica e, purtroppo, molto consenso popolare per far entrare nella vita di tutti i giorni un sistema “prototipo” di manipolazione e robotizzazione della relazionalità sociale. Così l’umano è passato immediatamente in secondo piano, soppiantato da una spunta verde su un monitor luminoso. Ma non è solo questo. È in corso un’accelerazione vertiginosa che nel giro di pochi anni potrebbe rovesciare qualsiasi tipo di rapporto democratico.
Se nessuno prenderà in mano sul serio la questione del potere ammaliante del digitale, facendolo diventare un tema centrale sia culturale che politico, una volta che si sdoganerà il cosiddetto “internet dei sensi”, stabilire ciò che è lecito fare in un mondo invece che nell’altro sarà pressoché impossibile. Nessuno strumento giuridico – già adesso – è in grado di arginare il rischio di una dissociazione politica fra ciò che è giusto, vero, autentico, concreto, lecito e legale. Per questo serve, anche in materia di diritto, un’enorme salto di qualità da parte degli studiosi in giurisprudenza. Un salto di tipo riflessivo tecnico e – al contempo – psichico e antropologico. (Magari può essere d’aiuto studiare più approfonditamente tutte quelle filosofie distopiche e transumaniste che spesso vengono ridotte a basso complottismo, ma che invece sono estremamente proliferanti e operano, da tempo, in ogni ambito del sapere e della realtà).
Perché, in fondo, ciò che sta traballando è il principio stesso di realtà. Cos’è reale e cosa non lo è? Per questo la celebre sociologa Shoshana Zuboff parla di “business della realtà”, e, citando l’informatico Mark Weiser, ci ricorda che: “Le tecnologie più profonde sono quelle che scompaiono”[2]. Dunque, rincorrere il potere tecnologico con i mezzi della retorica anti-modernista non ha alcun senso. L’urgenza di oggi risiede nella volontà di rischiare un pensiero capace di salvare il rapporto difficile fra antichità e modernità, per riformulare una nuova modalità di connessione fra paradigma scientifico e realizzazione della libertà e della coscienza spirituale umana. In linea con l’insegnamento del pensiero illuminista secondo cui: l’uomo non può essere trattato come un mezzo, ma deve essere trattato sempre anche come un fine. In sostanza, se ci concentriamo troppo sulla denuncia nei confronti del potere digitale, rischiamo di non vedere la risorsa evolutiva che in esso comunque sussiste; viceversa, se facciamo l’elogio del progresso in maniera acritica e apologetica, finiamo dritti dritti verso una Matrix conclamata. È un bivio epocale quello che abbiamo di fronte. Tutti dobbiamo prendercene carico. Anche se, come ovvio, è la politica il campo di azione privilegiato. Essa deve e può recuperare il senso critico e il proprio ruolo d’indirizzo democratico del fare tecnologico. Un fare che – di fatto – si esercita sempre attraverso la mancata governance dello strapotere delle industrie high-tech. La missione rivoluzionaria è in realtà tutta qui: nella mediazione dialettica indispensabile ed eroica. Ora sta a noi la ricerca di una sintesi nuova e convincente, capace di vincere l’inerzia e mobilitare le menti del futuro.
[1] Articolo di Dario d’Elia, WIRED, numero 102, anno 2022, edizione autunno (allegato 5G edition)
[2] Shoshana Zuboff, Il Capitalismo della Sorveglianza, Luiss, Milano 2019 pag. 211
Ciao. Questo è un problema molto serio che va a intaccare le nostre libertà personali, la nostra vita quotidiana, il nostro concetto dell’autentico. Vedere personaggi come Elon Musk che ambiscono a creare uno stadio-ponte fra l’uomo come lo conosciamo e il cosiddetto transumano auspicato anche da Harari, per via di tutte le implicazioni etiche che saranno cestinate a favore di un umano evoluto (o dovrei dire disumano e dis-evoluto, visto che secondo Harari sopravviverà solo chi avrà abbastanza soldi da potersi permettere tutta questa tecnologia e la chiama “selezione naturale” in “Homo Deus”), mi fa accapponare la pelle e spero che venga tenuto conto dell’etica in ambito scientifico così da non raggiungere cime immorali e inumane. Al momento, i social hanno talmente tanto potere sulla nostra testa, grazie anche a ciò che scegliamo di vedere e che divulghiamo all’algoritmo per ottenere quei risultati, da spingerci a una continua lotta fra persone senzienti chiuse nelle loro bolle. La differenza tra i punti di vista si sta acuendo, i partiti politici come pure i loro membri diventano sempre più estremisti nel loro pensiero. Le bolle non hanno spazio per persone che la pensano anche solo un po’ in modo diverso rispetto alla maggioranza della popolazione, preferendo continuare a consumare e ri-consumare sempre lo stesso tipo di concetto e prevedendo anche la sola approvazione (vedendo quindi il parere contrastante come una forma di aggressione). Per tutto ciò e anche altro si richiede, inoltre, denaro… denaro che viene speso tanto per stare su Facebook (cosa non necessaria), quanto per cercare lavoro sulle varie piattaforme online presenti anche solo in Italia (cosa a mio avviso indispensabile). Tutto ciò taglia fuori dal mondo una grossa fetta di popolazione, per non parlare di quelle che si tagliano fuori da ogni tipo di discorso perché, come ho già scritto, si richiudono in bolle di affermazione positiva. Con un sistema come quello descritto nell’articolo, la tecnologia andrà a impattare sulle nostre vite in un modo mai visto in precedenza, diventando un componente artificiale obbligatorio nel prossimo futuro (spero di no). Io credo che sarebbe il caso di iniziare a rivendicare il diritto alla non connessione o alla connessione al bisogno, rinnegare i social e preferire anche un modo di stare online primitivo, con ampio spazio per il dialogo anche tra diversi. Forse un’eventuale fine dei social potrebbe essere la ricetta giusta per frenare questa corsa sfrenata al contenuto e all’autodistruzione, visto che queste piattaforme fanno male alla psiche (come dimostrato da studi scientifici, peggiorano ansia e depressione, nonché creano facili conflitti tra schieramenti). Non ho la più pallida idea di come si potrà arrivare a questo obbiettivo visto che sono ormai talmente tanto importanti per la vita privata di ognuno da rappresentare attraverso lo smartphone quasi un’appendice artificiale dell’essere umano odierno, ma credo sia necessario se non si vuole peggiorare come umanità. Concludo il discorso invitando l’eventuale lettore dell’articolo a vedere il documentario “The Social Dilemma”, capace di far capire fino a che punto i social siano invasivi nella nostra vita quotidiana, nel quale si consiglia di diminuire e scegliere i contenuti, se non proprio di staccare la spina e vivere nella realtà reale, la vera nella quale vale la pena vivere.
"Mi piace""Mi piace"
Tranquillo, c’è ancora tempo. Ammesso e non concesso che ci si riesca, a fare il ” transumano”.
Questi sono articoli del genere ” Signora mia sapesse…”
Ormai non si contano più.
"Mi piace""Mi piace"