Vogliamo provarci a farla pure noi, “Quella cosa in Lombardia”? Quale scusa potrebbero accampare il Pd e il M5S per sottrarsi, alle prossime elezioni regionali lombarde, a una coalizione intorno alla candidatura di Pierfrancesco Majorino, che appare nettamente alternativa al sistema […]

(DI GAD LERNER – Il Fatto Quotidiano) – Vogliamo provarci a farla pure noi, “Quella cosa in Lombardia”? Quale scusa potrebbero accampare il Pd e il M5S per sottrarsi, alle prossime elezioni regionali lombarde, a una coalizione intorno alla candidatura di Pierfrancesco Majorino, che appare nettamente alternativa al sistema di potere delle destre?

“Quella cosa in Lombardia” è una canzone meravigliosa del 1964 che vi raccomando di ascoltare ora che, a sorpresa, nel suo ultimo disco, Francesco Guccini ne ha dissepolto i versi struggenti di Franco Fortini, musicati da Fiorenzo Carpi e interpretati da Enzo Jannacci: “Sia ben chiaro che non penso alla casetta/ Due locali più servizi/ Tante rate, pochi vizi/ Che verrà, quando verrà”. Be’, nei primi mesi del 2023 “Quella cosa in Lombardia” potrebbe diventare anche un esperimento pilota: la ricomposizione, dopo la sconfitta del 25 settembre, di un fronte civico progressista che vada oltre le forze politiche esistenti, rivelatesi inadeguate a fronteggiare l’offensiva della destra. Proprio qui, in Lombardia, dove il malgoverno di Fontana e della Moratti ha prodotto esiti tragici nei due anni trascorsi, e ha dato luogo a una spaccatura profonda nella roccaforte del blocco conservatore.

Majorino ha imposto la sua candidatura al gruppo dirigente nazionale del Pd dopo aver minacciato la formazione di una lista alternativa, qualora il suo partito fosse caduto nella trappola suicida dell’appoggio a Letizia Moratti. Eventualità cui il Pd veniva sospinto con forza dai soliti noti, Corriere Repubblica in testa, il cui esito sarebbe stato né più né meno la dissoluzione della sinistra lombarda che pure amministra le principali città della regione. Non so se Letizia Moratti sarà in grado di raccogliere una percentuale di voti proporzionata alla quantità di articoli di giornale che la promuovono. Ne dubito. Ma, piuttosto che votarla, dopo le prove che ha fornito come sindaca di Milano e come promotrice in regione di una riforma sanitaria ultraliberista, sono sicuro che l’astensionismo avrebbe raggiunto cifre record, in assenza di alternative. Dalla sua, Majorino può esibire un curriculum di pratiche meritorie nel campo delle politiche sociali e dei diritti civili. Non è un candidato dei salotti. Ha avuto, questo sì, un ruolo determinante nella duplice vittoria di Beppe Sala, e vedremo se il sindaco di Milano saprà essergli riconoscente. Ma intanto ha le carte in regola per avviare, come già nei giorni scorsi ha mostrato l’intenzione di fare, un dialogo con i Cinquestelle lombardi. È un’occasione che non va sprecata, perché nessuna delle forze politiche esistenti è oggi in grado di bastare a se stessa se non è disposta a trasformarsi, lasciando spazio alle numerose associazioni di base, sociali, sindacali e culturali che in esse non si riconoscono. Mi dicono che il partito di Conte oscilla fra due opposte tentazioni: puntare tutto sulla propria autosufficienza, confidando di festeggiare nelle elezioni del 2024 il sorpasso sul Pd (modesta soddisfazione); o invece raccogliere fin da subito la sfida che si prospetta nel laboratorio lombardo grazie alla spaccatura della destra. Si tratterebbe di sperimentare su scala regionale un rinnovamento profondo nelle candidature, offrendo al giudizio dei cittadini una classe dirigente alternativa che è già radicata nelle realtà locali. Reprimendo così la tentazione di riprodurre, su scala sempre più ridotta, i soliti apparati. Quanto al Pd, non vedo cosa ricaverebbe dal sottostare al ricatto evocato da Benedetto Della Vedova in quota +Europa: va bene Majorino, purché rifiuti l’alleanza con i Cinquestelle. Vista la modesta consistenza della sua formazione, sentirsene vincolato equivarrebbe a votarsi a sicura sconfitta. I prossimi giorni saranno decisivi per capire se Letta (o chi per esso) e Conte ostacoleranno “Quella cosa in Lombardia” o invece lasceranno che qui nasca qualcosa di nuovo. Messi alla prova, capiremo quanto sincero fosse il riconoscimento degli errori compiuti l’estate scorsa dai partiti che rinunciarono anche solo alla desistenza nei collegi uninominali delle elezioni politiche. Certo, ne avessimo avuto il tempo, meglio sarebbe stato avviare una larga consultazione di base, utilizzando lo strumento delle primarie. Ma la designazione di Majorino s’impone come fatto nuovo significativo, e uniti intorno alla sua candidatura si può favorire la crescita di quel fronte progressista, alternativo alle destre, di cui si avverte l’assenza.

“Quella cosa in Lombardia”, appunto. Se all’epoca fu il romantico, malinconico invito alla camporella, nelle domeniche proletarie dell’Italia del miracolo economico, “Cara, dove si andrà/ Diciamo così, a fare all’amore”, e la fretta faceva rima con la “nebbia gelata tra l’erbetta” e con “un occhio alla lambretta”, oggi permettiamoci di sognare una domenica elettorale di rivincita contro i Fontana e le Moratti.