I principali attori occidentali in Ucraina sono Stati Uniti, Nato e Unione Europea. I primi due sono interessati a prolungare la guerra, mentre il terzo è interessato a interromperla. Il ragionamento di Biden è stato il seguente: “Se la Russia non reagisce alla penetrazione della Nato […]

(di Alessandro Orsini – Il Fatto Quotidiano) – I principali attori occidentali in Ucraina sono Stati Uniti, Nato e Unione Europea. I primi due sono interessati a prolungare la guerra, mentre il terzo è interessato a interromperla. Il ragionamento di Biden è stato il seguente: “Se la Russia non reagisce alla penetrazione della Nato, sottopongo l’Ucraina al dominio americano; se il test va male, la guerra affligge l’Europa”. Dal canto suo, Stoltenberg ha un interesse a sconfiggere l’esercito russo, tanto più che una vittoria in Ucraina aprirebbe nuovi spazi di conquista per la Nato che si porrebbe nella condizione ideale per assorbire tutta l’Europa, cogliendo la prima occasione utile per rovesciare Lukashenko in Bielorussia secondo lo schema già impiegato nel 2003 in Iraq, nel 2011 in Libia e in Siria, e nel 2014 in Ucraina. Lo schema si chiama “regime change” e consiste nel sostituire presidenti filo-russi con presidenti filo-americani mediante guerre illegali, il finanziamento di rivolte interne e il prolungamento di guerre civili. Sebbene facciano sanguinare i popoli, Biden e Stoltenberg curano gli interessi delle loro organizzazioni egregiamente.

Per Ursula von der Leyen, invece, vale un discorso diverso che impone di partire dalle basi della geopolitica europea. In primo luogo, la violenza vantaggiosa per la Nato e gli Stati Uniti in Europa, Medio Oriente e Africa del Nord, è una violenza quasi sempre disastrosa per l’Unione europea. Si pensi alla crisi dei profughi siriani che ha afflitto l’Europa. Da una parte, la Casa Bianca alimentava la guerra civile per sostituire il filo-russo Bassar al Assad con un presidente filo-americano; dall’altra, l’Unione europea si leccava le ferite, attentati dell’Isis inclusi. La guerra siriana ha pure accresciuto – altro danno geopolitico – il potere della Turchia su Bruxelles. Per attenuare lo scontro nel suo seno, l’Unione europea si è inginocchiata a Erdogan pagandolo per trattenere i profughi. Date simili premesse, von der Leyen dovrebbe essere una colomba tra due falchi in Ucraina, ma questo non accade. Breve: la presidente della Commissione europea non difende gli interessi dell’Unione europea.

Essendo priva di personalità politica, von der Leyen ha bisogno di una strategia comunicativa per nascondere le sue qualità mancanti. A tal fine, l’attenzione dell’opinione pubblica viene dirottata da von der Leyen verso Xi Jinping. Nasce così una narrazione dell’assurdo, secondo cui soltanto la Cina, o forse la Turchia, potrebbero fermare la guerra, quando, in realtà, è l’Unione europea che possiede questa facoltà. Von der Leyen dovrebbe lavorare per un cessate il fuoco, opponendosi a chi, al riparo dall’altra parte dell’Oceano, vorrebbe sconfiggere la Russia sul campo con il rischio di una escalation nucleare pagata dagli europei. Attribuendo alla Cina, talvolta alla Turchia, il potere di trattare, gli amici di von der Leyen impediscono di osservare l’inanità politica di questa donna.

La guerra conoscerà un’attenuazione quando le parti coinvolte si faranno reciproche concessioni. La Cina non ha niente da concedere perché non è coinvolta nello scontro armato. Contro la manipolazione dell’opinione pubblica, occorre porre von der Leyen al centro della scena per rivolgerle tre domande. La prima è come mai non lotti per un cessate il fuoco visto che l’Europa subisce danni gravissimi dalla guerra. La seconda è come mai non abbia frenato la penetrazione della Nato in Ucraina nel 2021 essendo noti i rischi di una guerra con la Russia. La terza è come mai si rifiuti di assumere la guida della diplomazia. La risposta ingannevole è ormai nota: “La pace dipende dalla Cina, ergo, la Commissione europea non è criticabile”.