Da speranza dem è diventata tutt’uno con la poltrona. Passando da franceschiniana a bersaniana, da renziana a zingarettiana. Nonostante le batoste elettorali, le faide interne e le gaffe resta ancora al suo posto. E dire che nel 2009 criticava la Ditta e chiedeva più spazio per i giovani. Profilo di Debora Serracchiani, la Amelie del Nazareno.

(Ulisse Spinnato Vega – tag43.it) – La diga del Vajont non è crollata e l’immane tragedia del 1963 non ha colpito il Friuli, ma il Veneto. La gaffe su Twitter della povera Debora Serracchiani è di per sé scioccante, tuttavia bisogna considerare le attenuanti del caso: dopo la batosta del 25 settembre i dirigenti del Pd sono ancora in confusione e la logorante, onanistica autoanalisi in corso ha annebbiato le idee a molti. Certo, dalla 51enne romana trapiantata da giovane a Udine, con quell’aria da professorina, non ti aspetteresti certe sparate. Invece Serracchiani non è nuova a uscite, diciamo, naif: da presidente del Friuli-Venezia Giulia ebbe la geniale idea di compilare un “Vademecum del buon sindaco” che mandò a tutti i primi cittadini della regione e che elargiva, tra l’altro, consigli su come vestirsi, come curare l’igiene personale, come accogliere gli ospiti o comportarsi a tavola. Addirittura la novella Monsignor Della Casa entrava pure nel merito dei deodoranti o profumi da usare, la cura di mani e capelli, la scelta del colore della camicia per gli uomini oppure la lunghezza delle gonne per le donne. Una roba quasi da Stato etico o da distopia alla Truman Show. Oppure quando, nel 2017, se ne uscì con un ragionamento che manco la Meloni d’assalto, Salvini o l’Alemanno dei bei tempi, altro che sinistra: «La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese». E giù di polemiche feroci, come se possano esserci aggravanti o, peggio, attenuanti razziali allo stupro.

La grande promessa dem e l’elezione all’Europarlamento

Insomma, Serracchiani ha una certa dimestichezza nell’attraversare tempeste da lei stessa scatenate, eppure la sua frangetta non si scompone mai. Quando i media la scoprirono, la paragonarono ad Amélie Poulain per il suo look, ma nel “favoloso mondo” di Debora esiste solo una cosa davvero magica: la sua capacità di restare a galla, sempre al potere, soavemente attaccata a una poltrona malgrado le continue Waterloo del Pd. La nostra Ercolina sempre in piedi si fa scoprire nel marzo 2009, con quel celebre e vibrato intervento all’Assemblea nazionale dei circoli dem in cui bacchetta l’allora segretario reggente Dario Franceschini, contesta la dirigenza, invoca il cambiamento in favore dei giovani, chiede al partito di aprirsi e di mettere in discussione tutto. Quasi 13 minuti di energia, passione e freschezza che la catapultano sulla ribalta nazionale. Addirittura Daria Bignardi la invita al suo talk tv dell’epoca, L’era glaciale, e Serracchiani si conquista appunto il paragone con Amélie, dopo essersi già dovuta accollare l’etichetta impegnativa di “Obama della politica italiana”.  Lo stesso Franceschini non se la prende per la reprimenda, è troppo furbo, intuisce le potenzialità della ragazza e la candida subito alle Europee del 2009. Esito: 144 mila preferenze, elezione assicurata e una strada verso la gloria che sembra spianata. In realtà, già allora si capisce che Debora è un po’ una tigre di carta: infatti si affilia alla corrente dello stesso avvolgente e mellifluo Franceschini e diventa pure segretaria regionale del Pd in Friuli Venezia Giulia, dopo aver fatto comunque tutto il cursus honorum a Udine, tra circoscrizione e Provincia. A Bruxelles, secondo VoteWatch, su 736 deputati Serracchiani rimane nei bassifondi delle classifiche di produttività: 588esima per le presenze, 288esima per le interrogazioni parlamentari. Nulla di particolarmente brillante.

Così Serracchiani ha saputo cavalcare le correnti

Ma lei sa fiutare l’aria e girare le vele per prendere il vento giusto. Arriva Pier Luigi Bersani al comando, diventa bersaniana e si fa candidare governatrice del Friuli, lasciando anzitempo il mandato in Europa. Batte per un’incollatura il suo predecessore, Renzo Tondo, del Pdl. Nel frattempo lo stesso Bersani cade in disgrazia, lei lo scarica con prontezza e si mette sotto l’ala del reggente Guglielmo Epifani che la nomina nella segreteria nazionale quale responsabile dei trasporti. La sua corrente di riferimento rimane quella franceschiniana: siamo nel periodo, intorno al 2012, in cui sferra pesanti attacchi a Matteo Renzi che intanto sta facendo la scalata al partito. Nel 2013 l’ex sindaco di Firenze è il dominus e lei per incanto diventa renziana, tanto che nella nuova segreteria acquisisce il ruolo di vice accanto a Lorenzo Guerini, una coppia che in quella fase verrà ribattezzata “Albano e Romina”. «Matteo smonterà il sistema delle correnti interne», azzarda. Peccato non sia andata proprio così. Nel 2017 viene comunque premiata e confermata come membro della nuova segreteria nazionale unitaria di Renzi. Però l’aria sta cambiando ancora: lei fiuta nuovamente il vento, non si ricandida in Regione contro il leghista Massimiliano Fedriga e si ritrova eletta in Parlamento nel 2018 per la XVIII legislatura. Paracadutata, perché perde all’uninominale e viene ripescata nel proporzionale.

Debora Serracchiani ovvero come rimanere al potere nonostante tutto

Le dimissioni lampo dalla segreteria dem e il ritorno in auge

È soltanto in quel momento che avviene un gesto di resipiscenza dopo lo schiaffo preso dal Pd alle elezioni: Serracchiani si dimette infatti dalla segreteria del Nazareno. Tuttavia, è un’astinenza che dura poco e la nostra Amélie ritorna subito nel ruolo di vicepresidente in quota Maurizio Martina, con la benedizione di Nicola Zingaretti; carica che mantiene ancora oggi, imperturbabile, malgrado il nuovo tsunami elettorale del 25 settembre scorso. A Renzi rende però l’onore delle armi e l’anno scorso dice tra le altre cose: «Archiviare il renzismo in questo modo è un errore. Se ne fa una caricatura». Non contenta, l’ex governatrice si è comunque consolata in questi ultimi anni alla Camera dapprima con la poltrona da presidente della Commissione Lavoro e poi con quella di capogruppo dem, sconfiggendo in un duello tutto in rosa Marianna Madia. Quest’ultima la attaccò all’epoca con parole che davano l’idea del clima (anche tra donne) in seno al partito: «Quello che poteva essere un confronto sano tra persone che si stimano si è subito trasformato in altro», ossia una «cooptazione mascherata» in un «gioco di accordi trasversali più o meno espliciti con il capogruppo uscente». Alias Graziano Delrio che a dire il vero smentì ogni trattativa, mentre Serracchiani rispose piccata. Dalla vicenda si poté trarre in ogni caso una morale: la rivoluzione al femminile nel partito ne aveva (e ne ha) ancora di strada da fare.

Debora Serracchiani ovvero come rimanere al potere nonostante tutto

I segretari dem passano, ma lei resta

Eppure adesso ci si chiede: dove sono finiti quei 13 minuti di passione e freschezza della Debora sbarazzina del 2009? A guardarli oggi, sembrano il ritratto di Dorian Gray. Va bene che la politica è «sangue e merda», come diceva Rino Formica, ma il pelo sullo stomaco sembra ormai troppo folto e quel saggio che Serracchiani scrisse allora con Tommaso Cerno, Il coraggio che manca. A un cittadino deluso dalla politica, 13 anni dopo, forse, andrebbe riveduto e corretto con qualche elemento autobiografico. Menomale che l’anno scorso ammise candidamente al Foglio, a proposito di nomine nel Pd: «Il mio nome circola sempre e in qualsiasi circostanza». Viva la faccia. A Vanity Fair Serracchiani ha pure detto: «La politica non è tutta la mia vita». E in effetti fuori dall’agone avrebbe una professione da avvocatessa specializzata in diritto del lavoro e una vita serena a Udine, dove abita dalla metà degli Anni 90 dopo essere nata e cresciuta a Roma, in zona Casetta Mattei, Portuense, una di quelle periferie che il Pd non vede nemmeno con il binocolo. Sarà, ma intanto non si è ancora capito se e quando Debora staccherà la spina alla sua carriera politica, magari anche solo per un periodo. Anzi, adesso è in lizza per la conferma quale capogruppo alla Camera (con tutta la coda di veleni del caso) o addirittura vicepresidente di Montecitorio, come se nulla fosse successo. Eppure l’ex europarlamentare diceva nel 2010: «Serve un gesto di generosità da parte dei vecchi dirigenti. Devono fare un passo indietro». Stavolta il gesto di generosità avrebbe potuto farlo lei. E invece niente. Guai però a dirle che ci sarebbe da rottamare tutta una classe dirigente che ha fallito e di cui lei fa organicamente parte. Potrebbe offendersi come quando ti azzardi a mettere per sbaglio l’H alla fine del suo nome. Insomma, i segretari del Pd passano, lei resta. “God save Debby”. E non sembra passare mai di moda, come il film Una poltrona per due alla vigilia di Natale. Soltanto che qui la poltrona è tutta sua.