(Roberta Labonia) – Era il 2015 quando lui, nell’improbabile veste da premier, con la postura autoincensante dello spacciatore di patacche che l’ha sempre contraddistinto, si vendeva come la riforma delle riforme il suo DdL la “Buona Scuola”. Non dello stesso parere erano gli studenti che, subito scesi nelle piazze di tutta Italia, gli gridarono contro: “ci stai rifilando una “buona sola”. E avevano ragione. Anche se neanche loro, all’epoca, immaginavano fino a che punto, quale tributo avrebbero dovuto sacrificare sull’altare di questa legge infame. Incredibile, all’epoca, il solo pensare che un giorno alla parola scuola si sarebbero accostate le parole morti e feriti. Ma è ciò che sta accadendo da quando la prassi dell’ “alternanza scuola lavoro” contenuta nel DdL è operativa.

A partire dall’anno scolastico 2015/2016 era diventato infatti obbligatorio per gli studenti dell’ultimo triennio delle superiori, effettuare degli stage aziendali. Badate bene, non retribuiti e senza alcun rimborso spese. E non stiamo parlando di qualche ora: i liceali se volevano accedere all’esame di maturità dovevano fare stage di 200 ore che diventavano 400 per gli studenti degli istituti tecnici, l’equivalente di ben 2 mesi di lavoro a tempo pieno.

Si è dovuto attendere l’avvento del governo Conte1 per smussare le criticità di questa legge riducendo il numero di ore lavorative. Ma è la logica di fondo della legge che va cambiata e ciò potrà avvenire solo laddove nella imminente nuova legislatura si formi una maggioranza coesa in tal senso. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che etc etc…

Limitandoci al solo anno in corso è già mattanza:

Il 21 gennaio scorso in un’azienda di Lauzacco, in provincia di Udine, Lorenzo Parelli, appena maggiorenne, è morto schiacciato da una putrella.

Il 14 febbraio, a Fermo, il sedicenne Giuseppe Lenoci in un’azienda termoidraulica si è andato a schiantare contro un albero con un furgone perdendo la vita.

A maggio, un diciassettenne è rimasto gravemente ustionato in una carrozzeria di Merano.

A giugno uno studente sedicenne, a Brescia, è caduto da cinque metri di altezza mentre stava installando uno striscione ferendosi gravemente.

Fino a 3 giorni fa quando, a Noventa di Piave, nella ditta Bc Service, ci è scappato un altro morto: Giuliano De Seta, un ragazzo di 18 anni di Ceggia, è stato travolto da una lastra di metallo e non ce l’ha fatta.

Allucinante. Le parole giuste le ha trovate Stefano Fassina quando ha scritto su fb che “Non sono incidenti se mandi in un cantiere, in un’impresa manifatturiera, già pericolosa di suo, un ragazzo o una ragazza senza formazione per la #sicurezza, spesso senza adeguati dispositivi protettivi, senza adeguata e costante sorveglianza di lavoratori esperti”.

Il signor Matteo Renzi, quando ha pensato all’alternanza scuola-lavoro “a gratis”, avrebbe dovuto tener conto che in un Paese come l’Italia, che quanto a sicurezza sul lavoro è fanalino di coda in Europa, avrebbe dato vita all’ennesima formula di sfruttamento del lavoro privo delle garanzie minime di sicurezza.

Del resto non c’è da meravigliarsi, l’attuale senatore semplice di Scandicci oggi “coniugato” Calenda, sempre nel 2015 diede i natali anche al famigerato job act, una legge che avrebbe elevato la precarietà a sistema se non fosse stato per il Dl dignita dei 5 Stelle che lo ha sterilizzato nei suoi effetti più deleteri. Coerente con se stesso, Renzi, anche quando a luglio dell’anno scorso, durante la sua ennesima intemerata contro il reddito di cittadinanza, ha avuto l’impunità di dire che “I giovani devono soffrire, rischiare…”.

E con la sua ” buona scuola” se ne stanno creando i presupposti.

Un modo come un altro per preparare le nuove generazioni al futuro che le attende, quello di venir sfruttate rischiando la pelle dovendo dire pure grazie.