L’assedio a Salvini e FdI sulla politica estera potrebbe portare a una fase di stallo al buio, con il crollo di B. e Lega e la rimonta di Conte e dei 5S. Quella voglia di pantano. O almeno di vittoria mutilata, per quella che a detta di tutti si appresta a stravincere, cioè Giorgia Meloni. Un’urgenza tale da spingere partiti […]

(DI LUCA DE CAROLIS E WANDA MARRA – ilfattoquotidiano.it) – Quella voglia di pantano. O almeno di vittoria mutilata, per quella che a detta di tutti si appresta a stravincere, cioè Giorgia Meloni. Un’urgenza tale da spingere partiti e mandarini della politica, anche insospettabili, a invocare un ottimo risultato di Giuseppe Conte, il fuori linea che però ora potrebbe “togliere voti alla destra” come ripete da giorni perfino l’ex alleato Enrico Letta. Chissà se è vero, ma nell’attesa il Conte molto fiducioso – “circolano sondaggi straordinari” – morde come mai aveva fatto prima proprio Meloni e il suo alleato per forza, Matteo Salvini: “Io non voglio al governo forze politiche che condividono la svolta autocratica e illiberale ungherese di Orbán, perché non hanno le idee chiare su cosa sia un sistema democratico e un sistema antidemocratico”. Perché da lì si riparte, dalla politica estera, nel giorno in cui Mario Draghi lo dice in conferenza stampa: “Come riferito dal sottosegretario Gabrielli al Copasir, i vertici dei Servizi hanno avuto un confronto con i loro omologhi dell’intelligence Usa e hanno confermato di non disporre di nessuna evidenza di finanziamenti occulti russi a candidati o partiti politici alle prossime elezioni”.

Però quel rapporto dagli Stati Uniti ha comunque raggiunto un obiettivo: insinuare il dubbio, avvertire gli elettori. Trattasi di ingerenza. “Volgare, vista la tempistica”, dicono interlocutori super partes. Perché in realtà il tentativo in atto da parte di ambienti internazionali (e non) sarebbe quello di rafforzare Meloni, ma nello stesso tempo arginare il più possibile Salvini e Berlusconi. La speranza è che un crollo di Lega e Forza Italia porti alla rottura del centrodestra a urne appena chiuse. Perché Salvini ha passato mezza campagna elettorale a chiedere lo stop alle sanzioni contro la Russia, mentre il Caimano è storicamente amico di Putin. Invece Meloni lavora da tempo a un profilo da atlantista, con Adolfo Urso impegnato a fare la spola tra Kiev e Washington. Non è un caso che la spaccatura in Parlamento europeo tra Fratelli d’Italia e Lega sia stata sulla proposta di rendere più trasparenti i finanziamenti a partiti e fondazioni: la Lega si è astenuta, FdI ha votato contro. I conti, in realtà, potrebbero non tornare: i sondaggi degli ultimi giorni vedrebbero il partito della Meloni in ascesa costante. Con i collegi uninominali che dovrebbero andare all’80 per cento al centrodestra. Mentre il Terzo Polo pare tenere. Ma ci sono sempre dei però, delle variabili. Anche imprevedibili. Così aiuta leggere Matteo Renzi per capire quale può essere un punto di rottura. Ieri in un’intervista a La Stampa il capo di Iv ha dichiarato che “se facciamo più del 10 per cento saremo decisivi in Parlamento per la nascita di un governo serio e istituzionale. Se facciamo di meno, al governo ci va la Meloni e noi faremo un’opposizione civile ma rigorosa”. Quella che va presa per buona è la prima parte del ragionamento. Come dichiarava non più di una settimana fa Guido Crosetto ad Avvenire, “stiamo per entrare in una guerra diversa, ma mostruosamente spietata. Sarà un autunno terribile: la povertà si impennerà, molte attività chiuderanno. E se l’Italia si vorrà salvare, dovrà unire tutte le energie migliori. E tutte vuol dire tutte”. Parole da cui trapela innanzitutto la necessità di chiedere a Draghi e a Sergio Mattarella di vegliare su Giorgia. Dall’altra quella di chiamare tutti a una sorta di governo di unità nazionale.

Ma se la discriminante è la politica estera, si potrebbe arrivare a una sorta di convergenza parallela tra Fratelli d’Italia, Terzo Polo e Pd. Tutto molto eventuale. E di certo da questo tipo di operazione i 5Stelle resterebbero fuori, così come parte della Lega e di Forza Italia. Le parole – stavolta – sono quelle di Beppe Sala (giovedì, a Repubblica): “I rapporti ambigui a livello internazionale sono uno degli elementi di debolezza della coalizione di centrodestra. I rapporti politici di Salvini con Mosca non sono un’illazione, bensì una pura constatazione. Di fronte a un risultato molto negativo della Lega non mi stupirebbe un ribaltone al vertice del partito”. Quel famoso ribaltone che molti attendevano prima della sfiducia a Draghi, nel nome della continuità dell’esecutivo e del Nord imprenditoriale. Non c’è stato, ieri. Ma domani, se Salvini sprofondasse al 10% o addirittura sotto, chissà. E poi comunque c’è il Pd. Se sarà disfatta, Enrico Letta si dimetterà senza aspettare che siano altri a chiedergli il passo di lato. Da Andrea Orlando a Goffredo Bettini, in molti stanno già ragionando sulla ricomposizione del Campo Largo. E più d’uno spera in una cosa “rossa” con Conte e Roberto Speranza. L’avvocato lo sa, anche se non può ammetterlo, non lui che da giorni tuona contro “l’aria da ammucchiata e da larghe intese”, concetto perfetto per rilanciare il suo messaggio: “Il Movimento è solo contro tutti”.

Però pensa anche al dopo, Conte. Cioè ai rapporti da riaprire pure con i democratici, eccome. Possibilmente con un segretario diverso. Così la consegna ai suoi è di attaccare solo Letta. Anzi, “i vertici del Pd”, formula volutamente gelida, burocratica. Nulla invece contro Orlando, o perfino contro Lorenzo Guerini, pure contrarissimo all’abbraccio con i grillini. A margine, il deputato e vicepresidente del M5S, Riccardo Ricciardi, fa notare: “Nell’ultimo giorno a Montecitorio, diversi dem me lo hanno detto: ‘La rottura con voi è stata troppo frettolosa’”. Il dopo urne per molti è già oggi, è già ora. Ma l’asse giallorosa può risorgere solo all’opposizione. Perché se per caso fosse in ballo un governo di emergenza nazionale, con a capo la Meloni, ricambierebbe tutto. E comunque poi all’altro voto nel Parlamento europeo.

Con Lega e FdI compatti contro la risoluzione del Parlamento europeo per cui l’Ungheria viene considerata una “minaccia sistemica” per i valori fondanti dell’Ue in virtù di quel “regime ibrido di autocrazia elettorale” costruito da Orbán. “Una risoluzione strumentale, fatta tutta in chiave elettorale italiana”, la liquidano dal gruppo europeo di FdI. Perché sull’atlantismo Meloni è stata fin qui molto chiara, ma rispetto all’Europa posizioni e amicizie divergono da quelle degli ultimi governi. Se cappotto sarà, questo sarà il pacchetto. Da deglutire tutto assieme.