(DI LUCA DE CAROLIS – ilfattoquotidiano.it) – Le bimbe di Conte urlano dentro il mercato coperto di Livorno, la città dove fondarono il Pci. Tra i banchi di pesce e verdura reclamano il loro idolo come 15enni a un concerto, anche se hanno un’età che va dai 60 in su, mentre la piccola folla intona pure il coro: “Presidente, presidente”. Il presidente che poi sarebbe ex, Giuseppe Conte, si presenta in polo blu e pantaloni sportivi grigi: niente giacca e pochette, per una campagna “da agenda sociale” . Confessa tanti con rapidità consumata, chiede il prezzo della merce ai bottegai, mangia un fico.

Un’ora e qualcosa dopo, al cronista Conte la mette così: “Che dice, noi 5Stelle siamo in ascesa?” e fa il segno di un aereo che sale, con tanto di sibilo simulato. Eccolo, l’avvocato che prova a sfondare nella Toscana per antonomasia (soprattutto) rossa. Vuole soffiare voti innanzitutto al Pd di cui “non voglio parlare male” giura senza crederci. E infatti morde alla gola Enrico Letta: “Ci penseremo tante volte prima di allearci con i dem, visto quanto successo con questi vertici del Pd”. Infierisce perché è corpo a corpo a sinistra. Così parla ancora, ovunque, di armi: “Il governo vuole far approvare nuove spese militari per 12,5 miliardi ma io non voglio neanche entrare nel merito dei decreti delegati, deve essere il prossimo esecutivo a occuparsene, un governo politico. Ovunque la gente mi dice non se ne parla di spendere in armi ora”. Batte, di nuovo, sulla narrazione del Movimento come alternativa “all’accozzaglia”, cioè alle grandi intese: “Che ci sia quest’aria è di evidenza pubblica, basta sentire Calenda, Renzi e gli altri. Un migliore dei migliori per Chigi si trova sempre…”. E i dem, lo vorrebbero? “Loro hanno sposato in pieno l’agenda Draghi”. Sono i codici del Conte da urne. Sempre “scortato” dalla consigliera regionale Irene Galletti, va a Coltano (Pisa), dove dovevano costruire una nuova base militare, tra un parco naturale e la stazione da dove Guglielmo Marconi mandò il primo segnale radio. “Era una scelta improvvida, l’abbiamo fermata anche con un ordine del giorno del nostro Riccardo Ricciardi” rivendica, indicando il vicepresidente grillino accanto a lui. “Il Pd con i partiti di sinistra non c’entra più” rilancia Ricciardi. Ma il Conte in maglietta soffre quando gli rammentano un passato che non è neppure il suo, quello del M5S che diceva tanti no. Per questo a Firenze, l’ultima tappa della giornata, precisa: “Martedì approveremo il dl Aiuti, non abbiamo mai posto un veto. Chiediamo che gli altri partiti sottoscrivano con noi l’emendamento per far circolare i crediti bloccati sul Superbonus, per salvare 30-40 mila aziende che stanno fallendo”. E se non lo faranno? “In quel caso non è che noi per ripicca non votiamo il decreto”.

Lo ripeterà spesso: “Non siamo quelli dei no, ma dei sì ragionevoli”. Anche di fronte alla domanda sul rigassificatore da realizzare a Piombino. L’avvocato la prende larga, ricorda che lui un’opera come il Tap l’ha voluta, eccome, ma alla fine si espone: “Sì ai rigassificatori galleggianti per l’emergenza attuale, ma Piombino è una scelta sbagliata”. Uno sbaglio, ammette di fatto, furono anche i decreti Sicurezza. Un signore sulla cinquantina a Livorno gli contesta “la foto con Salvini”, un cronista lo incalza, ancora, su quei decreti. “Ho risposto 20 volte, nella versione originaria erano molto peggio, e la Lega aveva un grande peso in quel governo” replica. Nel pomeriggio Conte è a Viareggio per ricordare le vittime della strage ferroviaria del 2009, con un incendio che uccise 32 persone. Davanti alla casina del ricordo, colma di foto delle vittime, trova due 5Stelle al secondo mandato, Laura Bottici e Alfonso Bonafede. Non ricandidati, “ma siamo qui” sorride l’ex Guardasigilli, che del processo per la strage ha fatto un simbolo della sua battaglia contro la prescrizione. Conte visita i murales davanti alla stazione, saluta parenti delle vittime. “Un megafono, non si sente”, gli urlano. Ma di applausi ne prende. Per i voti, dipenderà da lui. E dal Pd.