Non tutti lo sanno, ma la parola “favismo” ha due significati. Il primo, noto ai più, è questo: “Sindrome emolitica acuta dovuta a ingestione di fave o ad aspirazione del polline dei fiori della pianta, che dipende da una carenza congenita ed ereditaria di un enzima […]

(Andrea Scanzi – Il Fatto Quotidiano) – Non tutti lo sanno, ma la parola “favismo” ha due significati. Il primo, noto ai più, è questo: “Sindrome emolitica acuta dovuta a ingestione di fave o ad aspirazione del polline dei fiori della pianta, che dipende da una carenza congenita ed ereditaria di un enzima dei globuli rossi”. Il secondo significato, sconosciuto ai più (anche perché l’ho inventato io adesso), è invece questo: “Sindrome clinico-politica che colpisce gli eletti 5 Stelle a fine doppio mandato, quando non possono più candidarsi e a quel punto o frignano giocando ai martiri, oppure si candidano con partiti detestati fino al giorno prima. O magari entrambe le cose”.

La parola “favismo”, nel secondo caso, deriva da Giovanni Favia, che raggiunse un minimo grado di celebrità quando, in un fuorionda a Piazzapulita, disse peste e corna di 5 Stelle, Grillo e Casaleggio. Era il 2012 e Favia era stato uno dei primi volti del grillismo. Purtroppo per lui, quando il M5S esplose, non poteva più candidarsi. Così cominciò a frignare, giocò al martire, si candidò con esiti strazianti in Rivoluzione Civile e fu inghiottito dall’anonimato, interrotto due l’anno da qualche invettiva a caso contro i vertici 5 Stelle (ovvero contro ciò che Favia vorrebbe essere).

Il “favismo”, prima o poi, colpisce tutti. La trama è sempre la stessa, e questa campagna elettorale non fa certo eccezione. Allo scoccare del secondo mandato, adducendo le scuse più disparate e pietose, non pochi grillini hanno abbandonato il M5S per seguire Di Maio. Inizialmente il gruppo di fenomeni si chiamava “Insieme per il futuro”, laddove il futuro era ovviamente solo e soltanto quello dell’ex ministro degli Esteri. Il quale, scaltrissimo, ha ottenuto come voleva una candidatura blindata dal Pd. Per quasi tutti gli altri dimaiani “favisti”, sarà invece una Waterloo.

Forse questi gregari di terza fila credevano davvero che il Pd, che peraltro li odia, avrebbe garantito loro delle candidature confortevoli. Come no. Sono molteplici le carriere di ex grillini rancorosi stroncate sul nascere. Laura Castelli sperava di trovare un posticino a Novara, ma la base Pd ha reagito non proprio benissimo e la esimia economista è stata dirottata a Brescia con poche chance. Straziante anche il tramonto di Federico D’Incà, uno dei tanti ex grillini con più interviste che voti. Ex ministro (all’insaputa degli italiani, ed è un bene per tutti), D’Incà non voleva rompere con Draghi e se n’era andato fuori tempo massimo dai 5 Stelle, fondando l’irrinunciabile associazione “Ambiente 2050”. Gran bella mossa: infatti non lo ha candidato nessuno. E dunque adieu D’Incà. Nel momento in cui scriviamo, sembrano messi maluccio anche il fiero anti-contiano Crippa e l’assai querula ex ministra Azzolina: entrambi dovrebbero essere candidati nel Pd, sì, ma in collegi uninominali praticamente impossibili.

Il caso più tragicomico di “favismo” è però quello di Pizzarotti. Sindaco M5S di Parma per due mandati, epurato dal “despota” Casaleggio con conseguenti frignate mediatiche del Nostro, Capitan Pizza si era malinconicamente ridotto a stringere poche settimane fa un’alleanza con Renzi. Poi ha condiviso l’operazione “Renzenda”. Quindi, ieri, ha piagnucolato su Facebook che quei cattivoni di Italia Viva e Azione si sono spartiti i posti (toh, che strano!) e allora lui porta via il pallone, fa come la volpe con l’uva e non si candida più. Gne gne gne. Davvero un genio, questo Pizzarotti. Davvero dei geni, questi “favisti” del nostro scontento. Siano loro lievi anonimato e ignominia: nessuno li voterà, nessuno li ricorderà. E sarà solo colpa loro.