Malgrado il numero ridotto dei candidati il familismo fa capolino ovunque nelle liste dei diversi partiti. C’è il caso clamoroso e paradigmatico di Piero De Luca, figlio del governatore, che in Campania si presenta con il Pd in un seggio sicuro con 650 firme, raccolte tra i fedelissimi del padre. […]

(DI DONATELLA DI CESARE – Il Fatto Quotidiano) – Malgrado il numero ridotto dei candidati il familismo fa capolino ovunque nelle liste dei diversi partiti. C’è il caso clamoroso e paradigmatico di Piero De Luca, figlio del governatore, che in Campania si presenta con il Pd in un seggio sicuro con 650 firme, raccolte tra i fedelissimi del padre. La questione non riguarda né le capacità amministrative di De Luca né l’abilità del figlio. Si tratta di quell’etica di cui la politica, ora più che mai, non può fare a meno. Un grande partito che accetta questa candidatura mostra di essere subalterno a una parte del ceto locale. E chi è chiamato a votare si sente escluso a priori dai legami di sangue, che sono in sé antidemocratici. Perché la politica democratica comincia dove si spezzano i legami per natura, i nessi parentali di ogni genere.

Il tema delle “mogli dei big” va affrontato a mio avviso in tale contesto. Il che ovviamente non vuol dire che qui non svolga un ruolo il discorso discriminatorio contro le donne. Proprio perciò il tema è delicato e scivoloso. Tuttavia è inaccettabile che il femminismo venga strumentalizzato e diventi addirittura il pretesto per fare accettare come nulla fosse casi di familismo. Mi riferisco a quelli di Elisabetta Piccolotti, della Segreteria regionale di Sinistra Italiana e moglie di Nicola Fratoianni, e Michela Di Biase, consigliera regionale e moglie di Dario Franceschini (Pd).

Ho avuto modo di ascoltare gli interventi di Piccolotti, che ho apprezzato molto in diverse occasioni. Se sento una donna parlare nello spazio pubblico – che sia una giornalista, una politica, una scrittrice – non posso fare a meno di pensare alla grande fatica costata già solo per essere lì, per poter prendere la parola. L’Italia – occorre sottolinearlo – è un paese dove i protagonisti restano le figure maschili e la visione delle donne continua a restare ai margini. L’architettura politica è al maschile, sia in superficie sia nel profondo, nei gangli in cui si articola il potere. È giusto dire che le donne dovrebbero fare “fronte comune”. Al di là della metafora bellica, che può convincere o no, si intende quel gesto di solidarietà verso le altre compiuto consapevolmente da chi sa che cosa significa per una donna riuscire anche solo a varcare i confini dello spazio pubblico. Ma il problema è proprio questo: come si varcano? E soprattutto: come si resta? Cioè che rapporto s’instaura con il potere?

C’è purtroppo un gran numero di donne che, una volta giunte nello spazio pubblico, anziché destituire il potere, mirano piuttosto a prendersi la propria piccola fetta riproponendo i soliti schemi patriarcali e consolidando i rapporti esistenti. Evidentemente non è questo il modo femminista di stare nello spazio pubblico. Ecco perché non è di per sé un successo che una donna raggiunga posizioni di potere. Da Giorgia Meloni non ci aspettiamo nulla di buono. Anzi! Essere donna non vuol dire essere femminista. D’altronde lo scenario della politica è costellato di donne che custodiscono i propri privilegi, negano i diritti altrui e si guardano bene dall’essere solidali verso altre donne.

La candidatura di Piccolotti e Di Biase è in tal senso significativa. Sollevare la questione non è perciò né una querelle inutile né tanto meno il preludio a una discriminazione. Entrambe hanno senza dubbio qualità e meriti conquistati con impegno nei rispettivi partiti. Il che dovrebbe offrire loro la possibilità del seggio. Ma il legame parentale è un problema. Non solo di ordine etico, o morale. Ecco qui i soliti moralisti che fanno le pulci agli altri – soprattutto, poi, se si tratta di donne. È un problema eminentemente politico, che peraltro dovrebbe essere avvertito proprio a sinistra. C’è democrazia dove non si dà neppure l’ombra della parentela, dove ogni legame dinastico o familiare è spezzato o sospeso. Lo sapeva bene quell’aristocratico di Platone che, credendo invece nel lignaggio e nella casta, vedeva nel rovesciamento democratico di questi rapporti un grande pericolo.

Qual è la soluzione? Che si candidino Piccolotti e Di Biase – non potremmo non esserne liete. Ma facciano allora un passo indietro i rispettivi mariti. Beninteso, si tratta di opportunità, non di legittimità. Anche se sarebbe forse l’ora di introdurre una regola al proposito, data l’imbarazzante disinvoltura con cui in Italia si candidano parenti persino quando ci sono pochissimi seggi. In caso contrario, il segnale che si manda è pessimo, tanto più in un momento così drammatico. Anche a sinistra, da chi non ti aspetti, si pratica tranquillamente il familismo e lo si avalla. Proprio le donne non ne hanno bisogno, perché a ben guardare sono le più colpite e se restano ai margini dello spazio pubblico è attraverso questi nessi familiari di potere.