Gli esperti ci spiegano che il 30 per cento degli elettori decide chi votare solo nell’ultima settimana. E aggiungono che il 10 per cento lo fa il giorno prima o addirittura quando in cabina prende la matita in mano. Per questo ci sentiamo di sconsigliare a tutti […]

(di Peter Gomez – Il Fatto Quotidiano) – Gli esperti ci spiegano che il 30 per cento degli elettori decide chi votare solo nell’ultima settimana. E aggiungono che il 10 per cento lo fa il giorno prima o addirittura quando in cabina prende la matita in mano.

Per questo ci sentiamo di sconsigliare a tutti di dare per definitivamente chiusa la partita elettorale. Certo, oggi la coalizione di destra è in larghissimo vantaggio, ma lo è solo grazie ai consensi raccolti da Giorgia Meloni: Matteo Salvini e l’incartapecorito Silvio Berlusconi invece arretrano o arrancano. Quella di centrosinistra ha fatto di tutto per autodistruggersi e ci è riuscita grazie a un non leader come Enrico Letta, peraltro non eletto con regolari primarie, ma nominato dai maggiorenti del partito con l’appoggio di quasi tutto l’establishment.

L’alleanza pressoché scontata tra Matteo Renzi e Carlo Calenda paga la fama di spregiudicato ballista conquistata dal primo e da un paio di giorni pure la definizione di cazzaro appioppata al secondo da chi si sente progressista. Il Movimento Cinquestelle ha perso per strada milioni di voti rispetto al 2018. Il coma profondo in cui era caduto durante il governo Draghi lo ha portato a un passo dal tirare le cuoia. Ma non è morto e se non commetterà l’ennesimo errore (correre con il Pd per il presidente della Regione Sicilia proprio nel giorno in cui ci saranno anche le elezioni politiche) potrà giocare, unico tra gli avversari di Meloni, almeno una carta di peso: Giuseppe Conte. L’avvocato di Vulturara Appula gode di ancora di un gradimento personale alto, superiore a tutti i suoi avversari, tranne che alla leader di Fratelli d’Italia. Trasformare il gradimento in voti è una cosa complicata. Ma con un po’ di fortuna (cosa che Conte ha fin qui dimostrato di avere, essendosi ritrovato per caso a fare per due volte il presidente del Consiglio) e molta abilità, Conte può tentare una rimonta. La disfatta di Letta ha per lui un’importante conseguenza: ciò che resta del centrosinistra non ha più nessuno da proporre come aspirante premier.

È vero che la Costituzione e la legge elettorale (votata e voluta dal Pd) non prevedono l’indicazione da parte degli elettori di un presidente del Consiglio. Ma da quasi 30 anni i cittadini sono convinti di andare alle urne per farlo. Così a destra si vota pensando che Giorgia Meloni andrà a Palazzo Chigi, mentre nell’altro campo non si pensa a niente. Ecco perché Conte da oggi non dovrà fare campagna elettorale solo per tentare di recuperare i suoi tanti astenuti, ma anche per portare via voti a Pd, Sinistra italiana e Verdi. Il messaggio da dare è semplice: volete me o Giorgia Meloni? Se poi il leader 5 Stelle riuscisse a trovare qualche candidato di richiamo per i collegi uninominali, la sorpresa sarebbe possibile. Anche perché in campagna elettorale vincono i messaggi semplici: Reddito di cittadinanza sì o no; salario minimo a 9 euro sì o no; lotta alla corruzione e alla mafia sì o no; centrali nucleari sì o no. Poi, come dicevano, c’è la fortuna: ad esempio, la coppia Renzi e Calenda porterà via voti a Forza Italia e ai suoi candidati?

Certo, Conte non ha i media dalla sua parte. Ma può rispolverare il web. La decisione di Grillo di mantenere il limite dei due mandati ha rianimato molti attivisti oggi felici di potersi considerare ancora parte di una forza politica diversa dalle altre: starà a loro fare campagna elettorale in strada e in Rete nelle ultime decisive settimane. Le possibilità di successo sono ovviamente pochissime. Ma ci sono. Per i Cinque Stelle e Conte la cosa peggiore da fare a questo punto sarebbe non provarci.