E ora? Ex 5s spaesati: “ma se non corre lui, chi ci vota?”. I volti sono quelli del giorno dopo, spenti. Le bocche stillano amarezza, già gelida, quasi rassegnata: “Il Pd ci ha fregato, e chissà da quanto pensava di farlo”. I dimaiani si raggrumano dentro la Camera […]

(DI LUCA DE CAROLIS – Il Fatto Quotidiano) – I volti sono quelli del giorno dopo, spenti. Le bocche stillano amarezza, già gelida, quasi rassegnata: “Il Pd ci ha fregato, e chissà da quanto pensava di farlo”. I dimaiani si raggrumano dentro la Camera, feriti da quella clausola dell’accordo tra Letta e Calenda che è stata colpo improvviso e ferale: “Niente ex 5Stelle nei collegi uninominali”. Ma ora la domanda, quindi il punto, è già un altro: se il loro leader Luigi Di Maio accetterà la mela tentatrice dei dem, quel “diritto di tribuna”, che per il ministro sarebbe la salvezza personale, ma anche il tradimento dei 60 e rotti ex grillini che lo hanno seguito nella più corposa scissione della storia repubblicana. Gli hanno creduto, loro, e ora lo avvertono per interposto cronista: “Luigi non deve accettare, non può farlo”. Il ministro è a uno di quei bivi dove incroci il Diavolo, avrebbe cantato qualche maestro del blues. Ma le angosce degli ex grillini non vanno in scena nell’America che fu, si notano nella Montecitorio dove è l’ultimo giorno di scuola prima della pausa estiva. A settembre faranno qualche altra capatina prima delle urne del 25. Ma è già ria di dismissione e rimpianti.

Vale per moltissimi, figurarsi per i dimaiani che ora vedono già affossata la loro lista assieme all’eterno Bruno Tabacci. Ha volato 24 ore l’apetta del loro simbolo, il tempo di essere presentata in un bel locale di Roma e poi, il giorno dopo, eccoti Pd e Azione che in due righe ammazzano gli scissionisti. “Come facciamo ad arrivare al 3 per cento?” si chiedono i dimaiani, consapevoli che la quota per entrare in Parlamento sembra un miraggio, “anche perché da solo al centro correrà pure Matteo Renzi”. Vita politica può esserci solo per il ministro, se accettasse di fare il capolista nel proporzionale per i dem. E forse anche per due o tre dei suoi fedelissimi: Laura Castelli, Lucia Azzolina ed Emilio Carelli. Ma sempre nelle liste di Letta. “Però Luigi come farebbe Luigi a dircelo?” riflette un parlamentare. Pochi passi più in là, il ligure Sergio Battelli sorride: “Io sono e resterò un dimaiano, eh”. Prova a scherzare, ma stavolta è difficile perfino per lui. “In Aula a un certo punto molti dei nostri si sono girati verso di me, c’è pure una foto – vero, ndr – Mi chiedevano se avevo novità, ma io non ne avevo e non ne ho”. Difficilissimo sapere, figurarsi capire. Mercoledì Di Maio si è affacciato per pochi attimi in assemblea e l’ha subito chiusa. “Ci siamo guardati tra noi, non sapevamo che dire, abbiamo aspettato 45 minuti che si collegasse per sentirgli dire che ci sarebbero state altre riunioni, stop”, sussurra una deputata. “Non è una cosa da Luigi” osserva un veterano del Movimento. Ma neppure lui, giurano, si aspettava quella clausola. “Gli avevano dato garanzie, trattava da settimane” dicono. E ora? “Luigi è uno che non si arrende, una soluzione si troverà” scandisce Emilio Carelli, telefonino in mano ed espressione serafica. Era lui a presentare dal palco, quando hanno mostrato l’ape di Impegno Civico. “Da Di Maio attendiamo ancora le scuse” fa sapere il Pd di Bibbiano con crudele tempismo, mentre in Transatlantico passa la viceministra all’Economia Castelli, in giacca bianca. “Dobbiamo chiudere un decreto, cosa vuole che le dica?” sillaba. Ma in buvette un deputato cala una brutale verità: “Se Luigi si candida coi dem, di noi non si presenterà quasi nessuno con Impegno Civico. Se non corre neanche lui, chi ci voterà?”.

L’alternativa può essere un patto con la lista di altro ex grillino, Federico Pizzarotti? I dimaiani sfoderano espressioni come tanti boh. “Vediamo, a questo punto…”. Alle 18 Di Maio incontra Letta, proprio alla Camera. Un’ora di colloquio, poi in serata il ministro diffonde una nota: “Impegno Civico pretende rispetto e parità di trattamento, altrimenti viene meno il principio fondante di una coalizione”. Di Maio mostra di battersi per i suoi. Contesta il no ai collegi uninominali, come la ripartizione dei posti tra Letta e Calenda. “Siamo con i parlamentari” dicono i suoi. Tanto da non escludere che la lista dimaiana esca dal centrosinistra. Così è, per Di Maio. Un uomo, al suo bivio.