Calenda e Brunetta non bastano: anche Renzi nell’ammucchiata Pd. Nel trenino anti-Giorgia c’è posto pure per Bonelli e Fratoianni: “La Carta va salvata dalle destre”. Alla fine è caduto anche l’ultimo pregiudizio. Nel gran mucchione anti Meloni che sta precipitosamente prendendo forma attorno a Enrico Letta, non si butta via più nulla […]

(DI TOMMASO RODANO – Il Fatto Quotidiano) – Alla fine è caduto anche l’ultimo pregiudizio. Nel gran mucchione anti Meloni che sta precipitosamente prendendo forma attorno a Enrico Letta, non si butta via più nulla (eccetto i reietti Cinque Stelle): il segretario del Pd ha riaperto le porte anche a Matteo Renzi. L’ha fatto mercoledì in tarda serata, di fronte al pubblico di casa, alla festa dell’Unità di San Miniato (Pisa): “Noi non mettiamo veti nei confronti di nessuno. Costruiremo alleanze elettorali con chi porta valore aggiunto, chi arriva con spirito costruttivo e chi si approccia senza porre veti”. E quindi anche Renzi e i suoi. La fotografia del rapporto tra Enrico e Matteo è rimasta per anni cristallizzata all’istantanea della campanella, il passaggio di consegne a Palazzo Chigi, dopo la pugnalata renziana dello “stai sereno”: lo sguardo vitreo di Letta puntato nella direzione opposta all’uomo a cui cedeva il comando; uno scambio glaciale che sembrava l’epitaffio su qualsiasi rapporto personale e politico.

Sono passati otto anni e mezzo, chi avrebbe ipotizzato che il disgelo si potesse trasformare persino in alleanza elettorale? Il capo di Italia Viva ne ha preso atto con un certo gusto, anche se non si fida del tutto: “Il Pd in queste settimane diceva ‘Renzi ci fa perdere voti, non lo vogliamo’, evidentemente hanno fatto due conti e hanno cambiato idea. La politica sembra impazzita, forse è il caldo”, ha detto ieri mattina, ospite di Agorà su Rai3. “Prima decidiamo le cose da fare, poi vediamo le alleanze”, ha concluso. Bisognerà soprattutto trovare l’incastro delle candidature per i seggi uninominali (in un Parlamento dimezzato) di una coalizione – o accordo, o intesa tecnica che dir si voglia – che ha l’ambizione di tenere dentro tutti (sempre esclusi i grillini): da Renato Brunetta fino a Nicola Fratoianni.

Già, Fratoianni: ieri è arrivata anche l’apertura abbastanza clamorosa del leader di Sinistra Italiana, fresco di alleanza con i Verdi di Angelo Bonelli. Ha lanciato il suo invito, tramite intervista a Repubblica, “alla responsabilità di tutte le forze politiche che si sentono alternative alla destra”, perché “bisogna assolutamente impedire che Giorgia Meloni e Matteo Salvini facciano cappotto nei collegi uninominali”, altrimenti con la maggioranza assoluta potrebbero anche mettere mano alla Costituzione. Un problema di tenuta democratica, si direbbe, ma anche una più volgare questione di sopravvivenza politica: il Rosatellum costringe i piccoli partiti a coalizzarsi, e come ragiona un deputato dem che si è studiato bene la legge elettorale, “se hai tra l’1 e il 3% e non vai in coalizione sei morto, perché non prendi neanche dei collegi come diritto di tribuna”. Fratoianni vorrebbe far rientrare nel campo larghissimo di Letta anche i Cinque Stelle, ma se proprio dovesse scegliere tra un terzo polo di sinistra “melénchoniana” e l’ampia carovana guidata dal Pd, per lui sarebbe più saggio associarsi alla seconda (altra magia del Rosatellum: per le coalizioni c’è uno sbarramento al 10%, i grillini dovrebbero superarlo, ma non si sa mai…).

Sarà il caldo, come dice Renzi, ma in poche settimane la paura delle destre e l’istinto di sopravvivenza stanno facendo mettere insieme soggetti che si sono sempre ignorati, combattuti o detestati: Letta torna amico di Renzi, Renzi incontra Calenda dopo una lunga storia di insulti, Bonelli rischia di finire in coalizione con i lobbisti politici del nucleare, Fratoianni fino all’altroieri assicurava di non avere “nulla a che fare” con Calenda – meno che mai con Brunetta e Gelmini – però ecco, magari in un’intesa tecnica antifascista per salvare la Costituzione, si può fare un sacrificio… L’unico veto che resta in piedi è quello del Pd nei confronti di Giuseppe Conte e dei Cinque Stelle, gli unici con cui in questi anni era stato costruito un percorso comune al governo e nei territori.

Il meno persuaso dalla grande ammucchiata, forse il più lucido, è proprio Carlo Calenda, che resta con un piede dentro e uno fuori. Continua a fare scintille con la sinistra dem (ieri Andrea Orlando gli ha detto “datti una calmata”), detta le sue condizioni e si fa due conti: a guidarlo sono più i sondaggi che non la paura isterica della Meloni.