“Vergogna” sulla Stampa, il dolore dei ministri e i distinguo di Cassese. Dopo 17 mesi di orgoglio draghiano, è il giorno del lutto collettivo. Simmetrici agli appelli a resistere al comando, che hanno riempito le pagine dei giornali e i servizi dell’emittenza nazionale […]

(DI TOMMASO RODANO – Il Fatto Quotidiano) – Dopo 17 mesi di orgoglio draghiano, è il giorno del lutto collettivo. Simmetrici agli appelli a resistere al comando, che hanno riempito le pagine dei giornali e i servizi dell’emittenza nazionale, è giunta l’ora degli editoriali funerei e delle invettive feroci.

Spicca la prima pagina della Stampa di Massimo Giannini, raramente adusa a titoli “strillati”. Stavolta, però, la rabbia è incoercibile, pulsa in una sola parola a caratteri cubitali: “Vergogna”. Chi si deve vergognare? Lo spiega l’editoriale di Marcello Sorgi: quelli che “giocano” mentre il Paese “affonda”. Anche Repubblica piange “L’Italia tradita”, sotto la fronte aggrottata e il volto dell’ex premier nascosto dietro una mano, in un’istantanea di rammarico e imbarazzo. Imbarazzo per gli altri, sia chiaro: nelle analisi politiche dei grandi giornali italiani non è contemplato nemmeno per ipotesi un errore di Mario Draghi, che ha gestito la crisi a muso duro, facendo sgretolare in un amen una maggioranza oceanica.

Il senso di lutto e sconfitta non è solo nelle redazioni dei giornali. È nei talk show televisivi. In Onda, su La7, è trasformata in un lungo elogio funebre. Officia David Parenzo con sorriso tirato, protagonista ancora Giannini, ma soprattutto Paolo Mieli: “Draghi è stato strepitoso. Memorabile, asciutto, per niente democristiano”, dice.

Un disastro autentico per Monica Maggioni, direttrice del Tg1 promossa proprio nel bel mezzo della stagione draghiana e protagonista di mirabili momenti di storytelling istituzionale (indimenticabile il servizio celebrativo per il primo anniversario del banchiere a Palazzo Chigi: “Il governo Draghi compie un anno”). Ieri lo “Speciale Tg1” condotto da Maggioni per raccontare la crisi ha floppato clamorosamente negli ascolti: 1.356.000 spettatori con il 9,5 per cento, battendo di pochissimo una serie tv thriller greca su Canale5 (La strada del silenzio) e un non indimenticabile telefilm su Italia1 (Chicago Fire). Alla “maratona” di Enrico Mentana su La7 si riaffaccia a sorpresa, tra gli altri, Antonello Piroso. Non si vedeva da un po’, ma si fa fatica a distinguerlo, nel lutto, dagli altri opinionisti: “Quando cade l’acrobata – motteggia, con tono grave – entrano i clown”. L’acrobata ovviamente è Super Mario, mentre i clown i soliti noti.

Il dolore abbonda nei partiti (ex) di governo e negli araldi politici del draghismo. Più di tutti ci aveva scommesso Luigi Di Maio, che infatti si è abbandonato a un amarissimo vaticinio, praticamente un memento mori: “Una pagina nera per l’Italia. La politica ha fallito, davanti a un’emergenza la risposta è stata quella di non sapersi assumere la responsabilità di governare. Si è giocato con il futuro degli italiani. Gli effetti di questa tragica scelta rimarranno nella storia”. Più sobrio, ma altrettanto avvilito il “gemello” leghista Giancarlo Giorgetti: “Poteva finire più dignitosamente”.

Matteo Renzi è parso quasi arzillo al Senato: ha pure battibeccato con Ignazio La Russa, scherzando sulle note dello “stai sereno”. Ha rivendicato, come fa da un anno e mezzo, il merito di aver portato Draghi a Palazzo Chigi e poi ha indicato i colpevoli: “Oggi l’incompetenza ha sconfitto il talento e il merito. Salvini e Conte, in una riedizione del governo gialloverde, hanno fatto venire meno il voto di fiducia al governo. Oggi ha vinto Putin e ha perso l’Italia”. L’altro napoleonico leader di centro, Carlo Calenda, è come sempre tra i più aggressivi, ma inizia pure a intestarsi il draghismo di domani: “La fine indegna di una legislatura disastrosa. Cialtroni populisti hanno mandato a casa l’italiano più illustre. La prima cosa che diciamo è grazie Draghi. Combatteremo per portare avanti la sua agenda e il suo modo di fare politica”. Affranti e dimissionari Mariastella Gelmini e Renato Brunetta (Mara Carfagna è a un passo dall’addio), rimasti senza ministero e già in cerca di un altro partito. Via da Forza Italia pure il senatore Andrea Cangini, che ha votato in dissenso contro il “draghicidio” (copyright del Foglio).

Menzione speciale, infine, per uno dei più illustri ed entusiasti sostenitori di questa stagione al crepuscolo: il giurista Sabino Cassese non vuole proprio lasciarla andare. Nell’elaborazione del lutto, non si muove dalla fase della negazione. “A quale titolo il presidente della Repubblica potrebbe sciogliere un Parlamento che gli ha appena ridato la fiducia?”, si chiedeva sul Corsera, il 19 luglio. Ieri si è aggrappato alla punta del diritto, su La7: “Il presidente della Repubblica ha preso atto delle dimissioni, non ha accettato le dimissioni di Draghi. L’ha invitato a curare gli affari correnti”. Quasi non è cambiato niente.