Letta. La linea: “Dopo ex bce, No ad altri esecutivi”. La parola “dimissioni” di Mario Draghi aleggia nell’aria e da ieri sera può diventare una certezza dopo il no di Conte. Perché il premier ha passato ieri un’altra giornata a cercare di ricucire con Giuseppe Conte […]

(DI WANDA MARRA – Il Fatto Quotidiano) – La parola “dimissioni” di Mario Draghi aleggia nell’aria e da ieri sera può diventare una certezza dopo il no di Conte. Perché il premier ha passato ieri un’altra giornata a cercare di ricucire con Giuseppe Conte. Ma di fronte all’eventuale – per non dire probabile – mancato voto dei Cinque Stelle alla fiducia sul decreto Aiuti di oggi, sia che il governo abbia i voti, sia che non ce li abbia, potrebbe reagire così. Lo sanno al Quirinale, dove infatti continuano a parlare di “trattativa politica”. Lo sanno al Nazareno, tanto che Enrico Letta convoca una riunione dei gruppi di Camera e Senato, senza discussione, quasi solo per dire che “dopo Draghi si vota”. Una cosa che ha iniziato ad affermare il 30 giugno, ma che – dopo che l’ha ripetuta anche Matteo Salvini – suona più forte. E che lui rinforza ulteriormente in serata: “Questo è l’ultimo governo della legislatura”.

La drammatizzazione del quadro in politica fa parte del gioco. Ma la realtà è che nessuno sa cosa faranno i senatori dei Cinque Stelle oggi.

Ieri, Draghi ha nuovamente parlato con Conte. Stavolta si è trattato di una telefonata. A Palazzo Chigi raccontano di aver registrato una certa disponibilità da parte dell’ex premier a riconsiderare le sue posizioni: Draghi si sarebbe trovato di fronte a un leader pronto a cercare di convincere i suoi a rinnovargli la fiducia. Sono stati i toni del colloquio, più che le parole, a indicare il fatto che il premier sta cercando di tendere una mano al suo precedessore, insistendo sull’agenda sociale. E dunque, reddito di cittadinanza, salario minimo e cuneo fiscale. Non a caso, ieri, Draghi ha visto il presidente di Confindustria Bonomi. Sul tavolo anche il costo del lavoro dipendente. E non a caso ieri Andrea Orlando in un question time a Montecitorio ha ribadito che sul salario minimo “daremo risposte a 2 milioni e mezzo di lavoratori”. A Palazzo Chigi e al Nazareno sulla mediazione ci stanno lavorando, ormai da giorni. Ma il premier all’avvocato ha ribadito quanto detto in conferenza stampa martedì: che ci sarà un provvedimento entro fine luglio, che alcune misure entreranno nella legge di Bilancio. Ma ha anche ripetuto che nel dettaglio non vuole e non può entrare. Draghi non vuole il mercato, non può permetterselo, non vuol rischiare di porgere il fianco alle richieste della Lega un minuto dopo aver esaurito il capitolo Conte. E dunque, è più facile che annunci il decreto dopo il voto in Senato, e non un minuto prima. Gli occhi di tutti, dunque, anche dentro Palazzo Chigi, restano puntati su Conte. Draghi gli ha chiarito che senza un sostegno chiaro dei Cinque Stelle l’esecutivo viene meno. Ma si ragiona sul fatto che basterebbe un segnale: l’indicazione dell’ex premier al Movimento a votare la fiducia. Anche con la contemporanea assicurazione di comprendere le ragioni di chi non la vota. Questo per Draghi sarebbe sufficiente ad andare avanti. E anche se poi molti senatori facessero un’altra scelta.

A che punto sono davvero le cose nessuno lo sa. Bisogna aspettare il voto di oggi. Dopodiché la palla tornerà al premier.

Il Quirinale ha fatto sapere che se il governo avrà comunque i numeri e non andrà sotto, potrebbe comunque rimandare l’esecutivo alle Camere a riprendere la fiducia. Se Draghi ci sta. Perché se i Cinque Stelle saranno palesemente fuori, l’ex Bce non potrà far altro che dimettersi, dopo averlo annunciato.

Al Colle, gli scenari ufficialmente non si fanno. Ma rispetto all’indisponibilità di Draghi a un bis, in realtà ci sarebbero solo due carte che Mattarella potrebbe giocarsi. La prima, quella di mandare il Paese al voto subito: le elezioni sarebbero il 25 settembre e il nuovo esecutivo avrebbe anche il tempo di fare la manovra. La seconda, un governo sotto la guida di Daniele Franco, con il compito di fare la legge di Bilancio e di portare il Paese al voto a febbraio. Ma le forze politiche dovranno dire la loro.