I 5Stelle sperano in modifiche al testo, ma gli altri partiti fanno muro. L’ipotesi di votare il decreto per parti separate. E in Aula arrivano Rdc e inceneritore di Roma. Quando l’elicottero di Mario Draghi non riesce ad atterrare a Canazei e il premier si trova costretto ad andarci in macchina, la tempistica della possibile crisi di governo cambia. […]

(DI LUCA DE CAROLIS E WANDA MARRA – Il Fatto Quotidiano) – Quando l’elicottero di Mario Draghi non riesce ad atterrare a Canazei e il premier si trova costretto ad andarci in macchina, la tempistica della possibile crisi di governo cambia. Il faccia a faccia tra il premier e Giuseppe Conte, previsto ieri per fare chiarezza sulla permanenza dei 5Stelle nell’esecutivo, slitta a domani. La tragedia del Marmolada e il vertice di Draghi con il governo turco, oggi ad Ankara, hanno reso tutto il resto meno urgente. Ma i lavori alla Camera vanno avanti, portandosi dietro una bella rogna. Ossia l’ormai certo voto di fiducia sul decreto Aiuti, che in pancia ha la norma sul termovalorizzatore a Roma invisa ai grillini e anche l’emendamento al reddito di cittadinanza che li ha fatti infuriare, in base a cui si perde il diritto alla misura rifiutando tre offerte di lavoro anche dai privati.

Così, assodato che oggi pomeriggio Palazzo Chigi blinderà il testo con la fiducia – il dl scade il 16 – il lunedì del mancato incontro diventa quello delle trattative incrociate per consentire ai grillini di non votare “la norma irricevibile sul termovalorizzatore”, come la definisce in Aula la 5Stelle Francesca Flati, ma nel contempo di non affondare l’esecutivo. Una tela di ipotesi sul filo dei regolamenti e del buon senso. La prima vorrebbe che il M5S votasse sì alla fiducia, astenendosi però sul testo, come avevano fatto i suoi ministri in Consiglio dei ministri. Strada possibile alla Camera, ma non in Senato, dove è previsto un voto unico su provvedimento e fiducia. Comunque un ostacolo per Conte e i suoi, che oltretutto temono di perdersi per strada un altro pezzo del Movimento, quello più governista, con nomi come la ministra alle Politiche giovanili Fabiana Dadone. E allora si pensa anche ad altre opzioni, come chiedere di far votare il testo fino all’articolo 13 – quello che prevede il termovalorizzatore – senza fiducia, per poi imporla a votazione in corso, sulla parte restante. “È stato fatto pochissime volte, ma è possibile” sussurra una fonte istituzionale. “La fiducia sul dl Aiuti? La gestiamo” assicura Conte nel primo pomeriggio sotto la sede romana del M5S, dopo aver preso un caffè con alcuni big. Anche il Consiglio nazionale del Movimento, che doveva precedere l’incontro con Draghi, è stato aggiornato a domani. Stamattina invece l’Aula voterà il rinvio in Commissione del dl Aiuti.

Un varco che i 5Stelle vorrebbero sfruttare per inserire alcune modifiche, come una norma per facilitare la cessione del credito sul superbonus e lo stralcio, o almeno le riformulazione, della parte sull’inceneritore “Ma non ce lo faranno fare, anche il Pd fa muro” scuote la testa un big. Fino a ieri sera si attendevano solo i rilievi della Ragioneria per le coperture finanziarie al testo. Mentre da Palazzo Chigi facevano filtrare di non aver ancora preso una decisione finale sulla possibilità di intervenire. La fiducia dovrebbe essere posta attorno alle 18, così da far sì che venga votata mercoledì – 24 ore dopo – dopo l’incontro tra Draghi e Conte.

Nel vertice il leader del Movimento consegnerà una lista di richieste: parlamentarizzazione del prossimo decreto per inviare armi all’Ucraina, no al termovalorizzatore di Roma, Rdc e salario minimo, forse il tema su cui si aspetta segnali più concreti e a stretto giro. Sul salario il Pd è pronto a offrire ogni sponda possibile, anche se dal Nazareno non nascondono le difficoltà. Domani sarà probabilmente un incontro ancora interlocutorio: Draghi dovrà soppesare e valutare le richieste.

Nel frattempo, continua il pressing sull’avvocato, per convincerlo a non strappare, soprattutto da parte dei dem. Raccontano che nel fine settimana l’ex premier avrebbe continuato a dire al Pd di essere pronto a lasciare il governo. Facendo capire di aspettarsi una mano rispetto all’appoggio esterno: ovvero, il mantenimento dell’alleanza. Tanto che alla fine Dario Franceschini, il big a lui più vicino, si è intestato la chiusura a questa ipotesi con toni più espliciti di quelli usati da Letta. Per provare a fermarlo, ma anche per ritagliarsi un ruolo da protagonista in questa vicenda. “Però Giuseppe non ha deciso” soffiano dal M5S. Teme reazioni ostili a uno strappo, anche sul piano internazionale. Ma i suoi scalpitano. Mentre il dl Aiuti è lì, come una mina.