Martedi scorso alle 12:20 in una chat privata sul canale Telegram fa ingresso la richiesta di Venice Medical Assistance: “Cerca URGENTEMENTE un medico per coprire i turni di stanotte e domani per codici bianchi presso l’ospedale di Santorso […]

(DI ANTONELLO CAPORALE – Il Fatto Quotidiano) – Martedi scorso alle 12:20 in una chat privata sul canale Telegram fa ingresso la richiesta di Venice Medical Assistance: “Cerca URGENTEMENTE un medico per coprire i turni di stanotte e domani per codici bianchi presso l’ospedale di Santorso. Retribuzione 90 euro/ora”. La frontiera della disperazione, il dissanguamento del servizio sanitario nazionale fino al punto di bussare alle porte dei social per trovare qualcuno disposto, aumentandogli straordinariamente anche la paga (in genere la retribuzione al lordo varia dai 40 ai 6o euro/ora) è codificata in questo messaggio. È la resa della sanità pubblica che giunge dal fronte della guerra perduta della sanità italiana dopo il Covid. Guerra senza cannoni ma con morti e feriti, quelli di ieri per colpa del virus e quelli di oggi e di domani per il default figlio di responsabilità politiche e della triste parabola di una organizzazione delle cure di una società sempre più anziana, più ammalata, più bisognosa di essere assistita.

Le lunghe stagioni del deficit, che hanno fatto dalla sanità il luogo eletto per clientele e sprechi di ogni misura e foggia, oggi rendono il loro rendiconto crudele e senza via di uscita. Quel che resta tra le nostre mani è, nel paradosso di un piano di rilancio che dovrebbe far rifiorire le case di cura, il disastro di ospedali che ormai collassano, e la voragine che ogni giorno di più – allargandosi – rende il buco nero in cui stiamo precipitando sempre più enorme, e l’ineluttabile destino di una crisi sanitaria prossima ventura diviene quasi certezza.

Anzi, a dirla tutta questa realtà disperante fa capolino dopo i mille giorni di dirette televisive, di approfondimenti sulla necessità di curare la nostra salute, di tutorial quotidiana lungo la via dritta del benessere fisico. Eravamo sistematicamente connessi a virologi e medici di qualunque specialità, tutti a sconfiggere il virus mentre – a nostra insaputa – un altro agente patogeno stava insidiando il palazzo italiano della salute. Il bollettino di queste settimane è allarmante. Centottanta barelle messe in fila e 25 medici dell’emergenza del Cardarelli che rassegnano le dimissioni per disperazione. Questo è il Sud, è Napoli. E al Nord? Nel Veneto gli organici di 18 pronto soccorso su 26 sono affidati a servizi esterni, sono appaltati a coop. Servizi esternalizzati, si dice. E a gruppi di medici privati si vorrebbe, nel prossimo futuro, affidare gli ammalati non di codice rosso, non gravi o gravissimi, per alleggerire il peso delle cure.

E a Milano cosa succede? 9.500 infermieri in meno rispetto all’organico, metà dei quali, all’incirca, necessari per garantire l’assistenza nelle Rsa. A Trento, dove il regime di autonomia consente spese che altrove non sono possibili, la Provincia paga le segreterie ai medici di famiglia, anche raggruppa, per riuscire a far restare indenne il servizio di medicina territoriale.

L’analisi del disastro l’ha commentata sul Corriere Veneto Carlo Brafezza, direttore dell’Usl Pedemontana: “Ormai abbiamo svuotato Bulgaria, Romania e Albania. Ora non ci rimane che puntare su medici extra Ue”. Non è solo la medicina d’urgenza ad essere decapitata. In Veneto mancano pneumologi, anestesisti, pediatri. Crisi di vocazioni simili in tante altre città.

Nel buco nero del disastro culturale e civile, l’errore di calcolo clamoroso: dalle università non escono medici a sufficienza e neanche infermieri. “Abbiamo raddoppiato le disponibilità nelle scuole di specializzazioni, aumentati i posti disponibili per i corsi di laurea, tra un po’ saremo perfettamente in linea con le esigenze e gli obiettivi della sanità italiana”. Così qualche giorno fa la nota rassicurante del ministro della Salute Roberto Speranza. Il problema è che da oggi a quel po’ (tre anni? cinque?) cosa ne facciamo dei malati?

Gli accessi ai pronto soccorso sono tornati al ruolino di marcia pre-Covid. Chi ha dolore si allarma e va. Si scongela la malattia, si riduce la paura di infettarsi, e si affolla l’astanteria. Dalla quale, causa pandemia, chi aveva potuto era fuggito. “So di colleghi – ha detto il presidente dell’Ordine dei medici di Trento – richiamati in servizio durante la luna di miele. Perché con l’organico ridotto all’osso, basta un incidente, uno che si ammala all’improvviso, e la turnazione va a farsi friggere”.

Negli ultimi cinque anni a Napoli sono stati chiusi cinque pronto soccorso. Si aggiungano camorristiche, i tentativi di sabotaggio, il lungo cursus honorum dei delinquenti che nella sanità pubblica purtroppo proliferano e si arriva al caso del San Giovanni Bosco, presidio ospedaliero nel centro della città, sconvolto da invasioni quotidiane di insetti, scarafaggi, topi. Rimessa a nuovo la struttura, riattivato il pronto soccorso.

L’Asl Napoli 1 pubblica un bando urgente per sei contratti a tempo determinato a medici delle funzioni dell’urgenza-emergenza. Il bando è andato deserto.