A pensar male si fa peccato, ironizzava una vecchia volpe della politica italiana come Giulio Andreotti, ma spesso ci si indovina. Non sappiamo se Giuseppe Conte ricordasse questa frase quando ha dichiarato nei giorni scorsi: “Penso che qualcuno voglia il M5S fuori dal governo”. […]

(di Giovanni Valentini – Il Fatto Quotidiano) – “Niente è più difficile da annegare di un sospetto, perché niente torna di continuo a galla più facilmente” (da “Il sospetto” di Friedrich Dürrenmatt – Adelphi, 2022 – pag. 22)

A pensar male si fa peccato, ironizzava una vecchia volpe della politica italiana come Giulio Andreotti, ma spesso ci si indovina. Non sappiamo se Giuseppe Conte ricordasse questa frase quando ha dichiarato nei giorni scorsi: “Penso che qualcuno voglia il M5S fuori dal governo”. Ma probabilmente non è andato lontano dalla verità. E se un uomo cauto e misurato come lui l’ha detto, deve avere buoni motivi per sospettarlo.

Chi può volere, dunque, che il Movimento 5 Stelle esca dal governo? Se dovessimo rispondere alla fatidica domanda cui prodest?, bisognerebbe dire che una tale eventualità non giova a nessuno. Non giova certamente al Paese, tantomeno in una situazione così grave e incerta per gli equilibri internazionali: la coda della pandemia, la guerra in Ucraina, il rischio della crisi energetica e alimentare.

Forse l’azzardo potrebbe giovare a chi pensa alle proprie sorti elettorali piuttosto che all’interesse generale. E dunque, c’è da sospettare che una tale eventualità possa favorire gli avversari o i potenziali concorrenti del M5S. Il centrodestra, innanzitutto: da Fratelli d’Italia che sta all’opposizione e vorrebbe la crisi di governo domani mattina e la Lega che spera così di frenare o arrestare il suo declino. Ma verosimilmente anche il Pd, o quantomeno una parte, che conta di ricavare un vantaggio nelle urne.

Prima c’è stato il proditorio attacco di Mario Draghi al Superbonus 110%, cavallo di battaglia dei Cinquestelle, un provvedimento varato sotto il governo Conte-2 e difeso anche da Confedilizia perché ha rilanciato un settore trainante per tutta l’economia. Poi la querelle sul controverso termovalorizzatore di Roma che ha alimentato qualche dissenso all’interno dello stesso Movimento tra l’ex sindaca Virginia Raggi e l’assessora regionale alla Transizione ecologica Roberta Lombardi. E infine, la guerra in Ucraina e più precisamente il nuovo invio delle armi per la resistenza, senza un preventivo passaggio del premier in Parlamento reclamato legittimamente da Conte. Per non parlare, da ultimo, dei magheggi intorno alla presidenza della Commissione Esteri del Senato.

C’è, insomma, tutto un cahier de doléances che sembra fatto apposta per mettere in difficoltà i “pentastellati” e provocarne l’uscita dal governo. E allora si può anche sospettare che dietro questo paravento siano già iniziate le grandi manovre elettorali per precostituire una maggioranza “variabile”: cioè un’ammucchiata del Pd, della Lega, dei combattenti e reduci di Forza Italia e dei vari “centrini” di Matteo Renzi e Carlo Calenda, magari sotto l’egida del redivivo presidente Draghi, per tagliare le ali a destra (FdI) e a sinistra (M5S). Né va dimenticato che, per mettere in piedi a suo tempo il “governo delle larghe intese”, Enrico Letta non esitò ad aggregare un pezzo del Popolo della libertà, con Angelino Alfano vicepresidente del Consiglio; i “montanari” di Scelta civica e i transfughi dell’Unione di centro.

Se a pensar male spesso ci si indovina, quindi, un variegato rassemblement di questo genere farebbe volentieri a meno dei Cinquestelle. Dipenderà, ovviamente, dal responso delle urne e dall’esito delle elezioni. Se dovesse vincerle l’impavida Giorgia Meloni, però, potrebbe toccare a lei comandare il gioco: a quel punto, l’attrazione fatale per il governo ricompatterebbe probabilmente il centrodestra, rimandando i progressisti (o presunti tali) all’opposizione. Uno scenario da incubo in un’Europa scossa dalla guerra. Fra tanti sospetti, più o meno fondati, non è un’ipotesi da escludere o da sottovalutare.