L’articolo del Nyt del 4 maggio sul supporto d’intelligence fornito dagli Stati Uniti all’Ucraina ha fatto imbestialire la Casa Bianca, che si è affrettata a definire la testata “irresponsabile”. Eppure una volta tanto il giornale newyorchese […]

(DI FABIO MINI – Il Fatto Quotidiano) – L’articolo del Nyt del 4 maggio sul supporto d’intelligence fornito dagli Stati Uniti all’Ucraina ha fatto imbestialire la Casa Bianca, che si è affrettata a definire la testata “irresponsabile”. Eppure una volta tanto il giornale newyorchese ha contribuito in modo determinante all’esigenza di chiarezza che qualsiasi mezzo di comunicazione dovrebbe sentire, a meno che non si voglia limitare alla comunicazione a suon di “comunicati” o bollettini di guerra tanto stringati quanto criptici o fasulli. L’articolo riguarda un aspetto della guerra tanto fondamentale da essere spesso volutamente nascosto e quindi ignorato. Si tratta dell’intelligence, ovvero l’attività informativa rivolta a conoscere i lati più sensibili dell’avversario. In particolare, di quali risorse dispone e che uso intende farne. Gli eserciti di tutto il mondo e di tutti i tempi hanno fatto di tale attività una disciplina al servizio degli scopi politici o strategici di uno Stato con un indirizzo quasi maniacale per i segreti da proteggere e quelli da ricercare. A tale livello, le grandi potenze hanno condiviso sempre poco anche al loro interno nei riguardi sia della popolazione sia degli stessi organi dello stato. Agli alleati hanno fornito le informazioni strettamente necessarie a ottenerne la partecipazione. Ancor meno è condiviso con i proxies in quanto poco affidabili: per loro vale la regola del “meno sanno, meno potranno ricattare quando saranno scaricati o criminalizzati”. Nell’attuale guerra non sappiamo quanto di politico-strategico l’intelligence statunitense abbia condiviso con l’Ucraina. Per ora non è un alleato e nel recente passato è stata piuttosto ondivaga nei rapporti con Est e Ovest. L’Ucraina, per propria orgogliosa ammissione e per quella dei committenti è un proxy: sta combattendo per conto di tutto l’Occidente contro la Russia e quindi il procuratore deve procurare l’occorrente per vincere. A eccezione di ciò che è strategicamente e politicamente rilevante. Almeno in teoria. Il Nyt ha individuato nel supporto d’intelligence qualcosa di politicamente molto rilevante: gli Stati Uniti non sono soltanto procuratori, ma partecipanti attivi nella guerra contro la Russia e stanno fornendo armi e quant’altro che non può essere spacciato come semplice aiuto a un paese che lotta per la libertà: è una guerra aperta degli Stati Uniti contro la Russia con strumenti aggiuntivi quali il resto della Nato e l’Unione europea. Il popolo americano, nella secolare diffidenza per le alleanze e nella grottesca ignoranza sul loro ruolo e funzionamento, considera che la guerra in Europa sia un problema di “altri” e la Nato è considerata tra essi. La linea politica di Biden è sempre stata quella di negare che esista soltanto una possibilità che la guerra in Ucraina si trasformi in guerra diretta fra Usa e Russia. Al massimo si può pensare a una guerra tra Nato e Russia, tra Europa e Russia, in Europa sulla pelle degli europei, una guerra che potrà vedere gli Stati Uniti come “liberatori”. Gli americani devono anche essere convinti che nessun soldato americano abbia finora ucciso soldati russi e tantomeno civili ucraini o russi. L’ipocrisia delle grandi potenze tenta anche di delimitare il campo tra livello politico-strategico e quello tattico. Occorre perciò negare finché possibile che siano compiute o innescate azioni militari ostili di livello strategico. Tra le regole non scritte di livello strategico c’è anche l’esclusione della minaccia militare ai vertici politici e militari. Si possono insultare ma non ammazzare, almeno fino a quando la guerra è affidata a proxies. A questi infatti è attribuita la responsabilità o la colpa di azioni che possono costituire pretesti per la guerra diretta. Finché conviene. Se qualche americano aveva un minimo dubbio su tale narrazione retorica, l’articolo gliel’ha chiarito, senza ricorrere a teorie del complotto o svelare segreti strategici, ma partendo proprio da quel “supporto” esterno all’intelligence ucraina. Di qui l’indignazione della Casa Bianca.

Infatti, non meno importante dell’intelligence strategica, è quella svolta sul campo di battaglia, quella che serve al comandante affinché valuti che tipo di avversario ha di fronte e decida che tipo di operazioni condurre. In questo campo, come dice l’articolo del Nyt, gli Stati Uniti sono più che generosi con l’Ucraina. Non si limitano alle veline, ma forniscono “actionable intelligence” quella che serve all’azione nell’immediato. Il pacchetto del presidente Biden, oltre a missili e artiglierie, comprende anche il supporto a questo tipo di intelligence e perfino di più perché con gli strumenti e l’assistenza forniti all’Ucraina, l’intelligence non è più un supporto, ma è la guida delle operazioni. E le “Intelligence led operations”, le operazioni guidate dall’intelligence sono dottrina corrente in guerra come nelle operazioni antidroga, antiterrorismo e perfino finanziarie.

Le fonti dell’intelligence o degli apparati di governo e della difesa statunitensi affermano che la condivisione dell’intelligence fa parte delle ultime misure di assistenza decise da Biden. In effetti è considerata una forma sicura di aiuto perché è invisibile o quanto meno negabile. Il generale Mark A. Milley, capo dello Stato Maggiore congiunto ha detto lo scorso martedì a una commissione del Senato “un ammontare significativo d’intelligence fluisce verso l’Ucraina dagli Usa: abbiamo aperto i rubinetti”. Tuttavia, gli Usa stanno dando actionable intelligence da ben prima dell’invasione e sta avendo effetti decisivi sul campo di battaglia. Ufficialmente gli Usa si limitano a confermare gli obiettivi individuati dagli ucraini, ma forniscono anche dati su nuovi obiettivi. (La “conferma” dei dati di individuazione, navigazione, posizione della nave ammiraglia Movska nel Mar Nero è stata fornita dagli Usa, ma la colpa/merito dell’affondamento è degli ucraini). Gli Stati Uniti usano satelliti militari e commerciali per tracciare i russi nel Donbass e a sud; hanno ceduto agli ucraini armi per il killeraggio individuale; la versione 300 del drone kamikaze Switchblade (100 già in possesso dell’Ucraina), può essere usata per individuare e uccidere singoli soldati o generali (10 droni della versione 600 più potenti sono previsti con la tranche in arrivo). Per l’uso di tali armi sono previsti “specialisti” (ucraini? Sarebbe la prima volta) ai quali l’intelligence americana fornisce i dati per individuare e colpire i bersagli ma, ovviamente, “gli Usa si astengono dal fornire informazioni sui vertici militari russi” (ci mancherebbe altro!). Le stesse fonti ammettono che l’intelligence Usa è stata determinante “nell’uccisione di altri generali”.

Biden ha detto che non invierà truppe Usa in Ucraina e non stabilirà una no fly zone. Nonostante ciò, alla Casa Bianca si “vede del valore nell’avvertire la Russia che l’Ucraina ha il peso Usa e Nato dietro di sé” (Dietro o davanti?). L’amministrazione Biden “ha tenuto segrete le attività d’intelligence Usa sul campo di battaglia nel timore che siano viste come una escalation e possano indurre la Russia ad ampliare la guerra” (timore o speranza?). E infine, da un lato Biden è prudente nel “non infiammare Putin fino al punto da fargli decidere l’escalation”, dall’altro Evelyn Farkas del Dipartimento della Difesa afferma: “Sia chiaro, stiamo aiutando gli ucraini e continueremo a farlo. Noi daremo loro tutto ciò che serve per vincere e non abbiamo paura della reazione di Putin. Noi non saremo auto deterrenti”. Più chiari di così… si muore.