La condivisione nucleare, il “manico Usa” e le bombe sugli F-35: così diventiamo subdolamente potenza atomica altrui. Il “facile” rischio di un “incidente” per innescare l’uso della forza. Indovinate contro chi? […]

(DI FABIO MINI – Il Fatto Quotidiano) – Per decenni abbiamo creduto che le potenze nucleari, in quanto detentrici di ordigni, fossero le uniche responsabili degli eventuali attacchi nucleari. Avevamo l’ombrello atomico che ci riparava, ma il manico lo reggevano gli americani.

Le osservazioni sul fatto che in Italia fossero schierati depositi di ordigni, artiglierie e bombardieri con capacità anche nucleare erano strumentali e ipocrite. Strumentali perché tendevano a dividerci dagli americani e diminuire l’efficacia della deterrenza nei confronti dell’Urss, ipocrite perché fingevano di credere che certi accordi potessero essere disattesi o elusi senza conseguenze. Eravamo sotto ricatto e fingevamo di essere liberi, un ricatto morbido, se si vuole materno, ma non c’è ricatto più minaccioso di quello della mamma protettiva: “Metti la maglia o lo dico a tuo padre”. Papà era il braccio armato della mamma, l’esecutore materiale della punizione non sempre convinto, ma molto convincente. Pochi si sono accorti che dodici anni fa e dodici anni dopo la fine della Guerra fredda, la Nato aveva indotto alcuni partner non nucleari a tenere in mano un secondo ombrellino nucleare: tattico, per la dimensione areale e la potenza limitata, strategico per la capacità d’innesco della guerra globale.

Nel 2010 l’evento fu ufficializzato inserendo nel concetto strategico della Nato il piccolo particolare di estendere la capacità e la responsabilità della deterrenza nucleare a tutti i Paesi membri. Sembrava una presa d’atto della potenza nucleare strategica che già avevano Francia e Gran Bretagna e che finalmente veniva inclusa nella deterrenza transatlantica. Per questo la cosa non impensierì più di tanto, ma c’era di più. Sul piano pratico fu ribadito il meccanismo del nuclear sharing che di fatto autorizzava ogni membro detentore di ordigni a concederli ad altri membri purché fossero dotati di mezzi di lancio a doppia capacità convenzionale/nucleare verificati dagli Usa. Fino ad allora solo gli Stati Uniti avevano messo a disposizione i propri ordigni tattici, sia terrestri (artiglierie e missili Lance) sia aerei. In un articolo per Limes del 2017 (Ultimo valzer a Berlino) spiegai come questa misura operativa potesse modificare la stessa concezione difensiva della Nato e rischiasse di violare i trattati di non proliferazione. “Gli Stati Uniti non avevano più armamenti nucleari missilistici o d’artiglieria in Europa, ed erano ben lontani dalla capacità del 1971 quando nella sola Europa continentale avevano 7.300 ordigni. Tuttavia conservavano circa 150 bombe d’aereo B61. Di queste, erano destinate alla condivisione (nuclear sharing) con i Paesi ospitanti circa 40 in Italia, 22 in Olanda, 20 in Belgio. In Germania c’erano 44 ordigni custoditi nella base di Büchel di cui 20 disponibili per le forze tedesche e impiegabili dai Tornado IDS del 33° Squadrone. I Tornado tedeschi avrebbero dovuto essere ritirati dal servizio nel 2015, ma non avevano sostituti per la doppia capacità”. Da allora le bombe B61 di vecchio modello adatte ai sistemi analogici di sgancio dei velivoli europei sono in graduale sostituzione con le B61-12 a sgancio digitale. Tali ordigni all’idrogeno, considerati tattici, hanno una potenza variabile da 0,3 a 50 kilotoni. I velivoli già abilitati alle B61 sono i Tornado (Italia e Germania) e gli F-16A (Belgio Olanda e Turchia); ora gli F-35A devono essere abilitati anche alle nuove B61-12.

In teoria la decisione di ottenere l’abilitazione dovrebbe avvenire su specifica richiesta della nazione acquirente, ma qui interviene il doppio capestro che incombe sui Paesi della Nato: chi vuole rimanere nella condivisione nucleare deve dotarsi dei nuovi F-35 e viceversa. L’Italia, che già ha la doppia capacità per i Tornado, non avrebbe giustificazione operativa per rifiutarla per gli F-35, specie in previsione dell’uscita dal servizio dei quarantenni Tornado. La “scelta” comporta, oltre all’evidenza politica di diventare surrettiziamente potenza nucleare (altrui), l’adeguamento dei velivoli alle nuove armi, la realizzazione di infrastrutture e servizi a terra, addestramento degli equipaggi, acquisizione di obiettivi ed esercitazioni e simulazioni periodiche, ovviamente non gratuite. In termini operativi, anche se il lancio è subordinato a una specifica autorizzazione, tramite codici statunitensi, la decisione di effettuare tale missione che dovrebbe spettare alla nazione è delegata non tanto alla Nato, ma ai detentori degli ordigni: gli Stati Uniti. L’unico ostacolo potrebbe venire dalla facoltà della Nato di usare la forza soltanto in caso di aggressione armata a uno dei membri. Ma questo è facilmente superabile, con un “incidente” qualsiasi. Quando si vedono partire i nostri aerei e il tricolore brilla nei cieli ai confini con la Russia, non dobbiamo soltanto pensare a una crociera turistica, ma alle capacità reali dello strumento e alla percezione che si proietta. Se all’interno si proietta la coesione, all’esterno si proietta la minaccia. Qualcuno si chiede contro chi. E la risposta è la più facile del mondo, perché è chiara da sempre, ma è ancora più chiara dal 2014: la Russia, a prescindere dall’Ucraina e dagli altri paesi ex-sovietici che sono difendibili, individualmente e collettivamente, soltanto rischiando una guerra nucleare “regionale” vale a dire sulla testa di tutti gli europei. A dicembre del 2016 il Generale Frederick “Ben” Hodges, comandante delle forze Usa in Europa, salutando l’arrivo in Germania della 3ª Brigata corazzata, disse: “Tre anni dopo che gli ultimi carri armati americani hanno lasciato il continente [europeo] dobbiamo riportarli indietro”.

In effetti, gli ultimi 22 carri Abrams statunitensi, in Germania, avevano lasciato il Paese a marzo del 2013, a causa della massiccia revisione della presenza militare all’estero imposta dal presidente Obama. Venivano quindi riattivati e ammodernati i carri armati, i veicoli da combattimento, le artiglierie, i missili dislocati nei siti di preposizionamento delle divisioni americane. Tutte cose a un tiro di schioppo dall’Ucraina. Ai giornalisti, Hodges disse che la misura era “una risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e alla sua illegale annessione della Crimea”. Negli stessi giorni il senatore repubblicano John McCain visitò gli Stati Baltici e, quasi a scusarsi per le incaute aperture di Trump alla Russia, li rassicurò sulla continuazione del supporto degli Stati Uniti. In un’intervista diffusa dalla radio dell’Estonia, McCain chiese un ulteriore rafforzamento delle forze Nato contro la Russia dichiarando che ogni “membro credibile” del congresso Usa vedeva il presidente russo Vladimir Putin “per quello che è: un delinquente, un prepotente e un agente del Kgb”. Definizioni tutto sommato moderate rispetto a quelle attuali, ma la sostanza è identica.