Ritorsione per il blocco – Pizzini. Accuse al ministro della Difesa Guerini (“un falco”) e all’Italia: “Con nuove sanzioni effetti irreversibili”. Dal metano alle banche, dai colossi fino all’export, Roma è vulnerabile […]

(DI NICOLA BORZI – Il Fatto Quotidiano) – Dalle blandizie alle minacce di ritorsioni per le sanzioni economiche in appena 52 giorni: dopo l’invasione russa dell’Ucraina e le sanzioni occidentali, il dialogo tra Roma e Mosca s’è trasformato in uno scontro aperto. Alla stretta nelle relazioni commerciali e finanziarie con la Federazione russa, decisa da Usa, Ue e altri Paesi e alla quale l’Italia ha dato piena adesione, ora il Cremlino risponde con i “pizzini” sui rischi per le forniture energetiche e le imprese nazionali.

Era il 26 gennaio, solo quattro settimane prima dell’inizio dell’“operazione speciale”, l’invasione dell’Ucraina, ma già da due mesi Mosca aveva ammassato decine di migliaia di soldati alla frontiera con l’Ucraina. Al contestato summit in videoconferenza della Camera di commercio italo-russa, per due ore e mezza i capi di 16 aziende italiane avevano interloquito direttamente con Vladimir Putin e altri otto ministri russi, oltre che con il numero uno del colosso petrolifero Rosneft e con l’amministratore delegato del Fondo sovrano di Mosca. “La Russia è un fornitore affidabile di risorse energetiche per i consumatori italiani”, aveva affermato il presidente russo. “Le aziende energetiche italiane continuano a collaborare con Gazprom sulla base di contratti a lungo termine e oggi hanno la possibilità di acquistare il gas a prezzi molto inferiori rispetto a quelli del mercato”. Ieri dal Cremlino si è invece passati agli avvertimenti: “Non vorremmo che la logica del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, che ha dichiarato la ‘totale guerra finanziaria ed economica’ alla Russia, trovasse seguaci in Italia e provocasse una serie di corrispondenti conseguenze irreversibili”, ha dichiarato Alexei Paramonov, direttore del Dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo in un’intervista. Alla domanda se la Russia interromperà la fornitura di gas all’Italia in risposta alle sanzioni occidentali, Paramonov è stato cauto: “La questione della risposta a misure restrittive di portata senza precedenti e illegittime dal punto di vista del diritto internazionale sulla Russia da parte degli Stati Uniti e della Ue è in fase di elaborazione da parte del governo della Federazione russa. Mosca non ha mai usato le esportazioni di energia come strumento di pressione politica. Le compagnie energetiche russe hanno sempre adempiuto pienamente ai loro obblighi. Continuano a farlo anche adesso. Sappiamo che c’è molta preoccupazione per il futuro di queste consegne. Tenuto conto della significativa dipendenza di Roma dagli idrocarburi russi, che raggiungono il 40-45%, il rifiuto dei meccanismi affidabili di trasporto dei vettori energetici sviluppatisi in molti decenni avrebbe conseguenze estremamente negative per l’economia italiana e per tutti gli italiani”. Dopo aver ricordato il sostegno dato all’Italia nella pandemia, Paramonov ha poi attaccato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, definendolo “uno dei principali ‘falchi’ e ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano”.

Secca la replica della Farnesina che ha respinto con fermezza “le dichiarazioni minacciose di Paramonov” e ha invitato il ministero degli Esteri russo ad “agire per la cessazione immediata dell’illegale e brutale aggressione nei confronti dell’Ucraina”. “L’Italia, con i partner europei e internazionali continuerà a esercitare ogni pressione affinché la Russia torni nel quadro della legalità internazionale”. “Non diamo peso alla propaganda. Incoraggiamo invece ogni passo politico e diplomatico che metta fine alle sofferenze del popolo ucraino”, ha risposto Guerini che ha raccolto messaggi di solidarietà da tutte le forze politiche. Ma l’avvertimento russo non può passare inosservato: Roma ha molto da perdere (e molto sta perdendo e continuerà a farlo) nella guerra economica con Mosca. Nel 2021 il gas russo ha rappresentato il 40% dell’import di metano, dal quale l’Italia dipende non solo per la produzione di elettricità (per il 42% nel 2020), ma anche per intere filiere industriali, che dopo il triplicamento dei prezzi stanno fermando le produzioni, come nella chimica di base.

Ma non basta. Nel 2021 l’Italia era ottava tra i principali partner commerciali di Mosca, con esportazioni per 7 miliardi e import per 12,6 nei primi 11 mesi. Secondo dati dell’Istituto Tagliacarne delle Camere di commercio, sono più di 15mila le imprese italiane che esportano in Russia, tra le quali 2.200 – con circa 23.700 addetti – concentrano nella Federazione oltre la metà delle loro vendite all’estero. In prima linea c’è il Nord-Est, cui fa capo il 43% delle vendite. I settori più esposti sono calzaturiero (il distretto marchigiano ha un’esposizione quasi doppia rispetto alla media italiana), alimentare, moda, mobili, legno, metalli. Buona parte di questi traffici si stanno già pesantemente riducendo come effetto delle sanzioni e a questi va aggiunta la produzione in conto terzi per imprese estere che esportano in Russia.

Se il tessuto è composto di piccole e medie imprese, ci sono anche molti “campioni nazionali” molto esposti: dai colossi energetici (Eni, Snam) ai gruppi industriali (Pirelli, Prysmian, Marcegaglia). Non a caso l’Italia è tra i primi 15 Paesi in termini di investimenti diretti (oltre 4 miliardi di euro) in Russia. Tra i maggiori progetti italiani ci sono le infrastrutture dell’Anas, le fabbriche di pneumatici auto di Pirelli, la costruzione di un pastificio di Barilla. Non va poi dimenticato il peso dell’import da Mosca in alcuni settori. Ad esempio quello del grano tenero, del quale l’industria nazionale è strutturalmente deficitaria per circa due terzi (il 64%) del fabbisogno: la Russia rimane il principale esportatore di cereali a livello mondiale. Ma anche i fertilizzanti, il nichel, l’alluminio e il carbone.

Quanto alla finanza, le banche italiane sono le più esposte al mondo, con 25 miliardi di euro, nei confronti della Russia. Intesa Sanpaolo ha un’esposizione di 5,1 miliardi, in parte formata da crediti a clientela e banche erogati da controllate locali (1,1 miliardi), mentre il resto del gruppo è esposto per 4 miliardi, al netto di garanzie all’export per un miliardo. Tra i debitori russi, ci sono anche controparti nel mirino delle sanzioni, per 200 milioni. UniCredit Russia, 14esima banca del Paese, ha una esposizione di 7,8 miliardi. L’esposizione transfrontaliera verso clienti russi è di 4,5 miliardi, al netto di garanzie di circa 1 miliardo. A ciò si aggiungono 300 milioni di derivati, che portano la perdita potenziale a un miliardo.