Tra i tanti contagi di guerra innescati dall’aggressione di Putin all’Ucraina, ce n’è uno tutto italiano: il vilipendio feroce contro chi prova a insinuare nel discorso pubblico qualche dubbio sull’opportunità di armare gli ucraini prolungando così […]

(DI TOMASO MONTANARI – Il Fatto Quotidiano) – Tra i tanti contagi di guerra innescati dall’aggressione di Putin all’Ucraina, ce n’è uno tutto italiano: il vilipendio feroce contro chi prova a insinuare nel discorso pubblico qualche dubbio sull’opportunità di armare gli ucraini prolungando così la guerra, aumentando il numero di morti e avvicinando ogni giorno di più la possibilità di un olocausto nucleare. Sul New York Times, per esempio, questi argomenti si discutono apertamente, senza alcuna remora: del resto, un rapporto della Defense Intelligence Agency americana ha rilevato che “la combinazione della resistenza ucraina e delle sanzioni economiche” indurrà la Russia “probabilmente a fare affidamento sul suo deterrente nucleare”. La rottura del tabù nucleare è un tema, anzi il tema: come ha ammesso il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, “il conflitto nucleare è oggi nel regno del possibile”.
Ma da noi, no: la cosiddetta “sinistra pacifista” che insieme a Papa Francesco chiede un immediato cessato il fuoco, è accusata di collateralismo con Putin. È una caccia alle streghe violenta, quanto inspiegabile: il Parlamento ha votato quasi all’unanimità l’invio di armi, e i giornali sono pressoché tutti interventisti. Quale pericolo possono dunque rappresentare quelle poche coscienze, senza tessere, senza organizzazione e senza padroni, che non si rassegnano a tacere? Parlo per me: non ho esitato a schierarmi con l’aggredito, contro l’aggressore (sul mio profilo Twitter sono fisse da oltre due settimane le parole della scrittrice russa Ljudmila Petruševskaja, che ho fatto tradurre e mettere sul sito della mia università: “Di questa guerra accuso il criminale numero uno, Putin”), ma sono profondamente angosciato da quello che a me pare un ballo collettivo verso l’abisso. Davvero non possiamo chiederci se la fine dell’umanità sia un danno collaterale accettabile? Non è opportuno, legittimo, utile che sia rappresentata anche questa paura, peraltro forse non così rara tra le persone che non hanno accesso ai media?
Invece, sui giornali di proprietà dell’establishment è tutto un inno alla guerra. Stefano Folli esalta l’aumento delle spese militari (finalmente “il conflitto in Ucraina sembra aver incrinato le vecchie resistenze”), il riarmo europeo è “la rottura di un tabù non scontato…, che dà il senso di una svolta avvenuta grazie all’asse Roma-Berlino”, titola a nove colonne il Foglio. E dunque “dagli” alle streghe pacifiste: Francesco Merlo insulta la Cgil e l’Anpi (e insieme i rifugiati) definendole “campi profughi dell’ideologia”, e ieri Stefano Cappellini (sempre su Repubblica) mi assegna “il primato” tra gli amici occulti di Putin. Su Twitter è più esplicito: i contrari all’invio di armi sono “narcisisti, bastian contrari e stronzi” (sic) – laddove ci si chiede in quale delle tre categorie Cappellini collochi Papa Francesco.
Nel mio caso, la colpa sarebbe “il disperato e grottesco tentativo di spezzare qualsiasi similitudine tra la Resistenza italiana e quella ucraina”. Avrei così, proprio io, “degradato una delle più eroiche pagine di storia nazionale”. Cappellini si guarda bene dal dire che è stata l’Associazione nazionale dei partigiani a denunciare, sul suo giornale, l’insostenibilità storica di questo confronto. Né cita i due articoli in cui Marco Revelli (ancora meno sospettabile di me di poca conoscenza e poco amore per la Resistenza) rigetta quel paragone, condannando “l’uso propagandistico della storia, giocato sulla cancellazione delle specificità di contesto e sull’eticizzazione simbolica di fatti storici tra loro diversi ricondotti a un unico, semplificato, effetto emotivo”, ricordando le “condizioni tutte abissalmente diverse – anzi opposte – rispetto a quelle del conflitto attuale”.
L’uso della storia è il punto. Uno statement dell’International Committee of Historical Sciences ha condannato “fermamente l’abuso della storia impiegato dal presidente Putin nel razionalizzare l’aggressione della Russia contro l’Ucraina. La storia non è di proprietà degli Stati o dei governanti, e deploriamo l’uso della storia per promuovere immagini nemiche e miti distorti”. Ebbene, proprio come il veleno del nazionalismo putiniano sta contagiando (a parti rovesciate) perfino le istituzioni culturali occidentali, così i giornalisti alla Cappellini fanno la stessa operazione di Putin, abusando specularmente della storia in chiave propagandistica. E pestando chi prova a denunciare la miseria e la pericolosità di questa “storia” messa al servizio della guerra. Eppure, il dissenso, il pensiero critico, la distanza dalla propaganda e il tabù della guerra atomica finale, dovrebbero costituire il cuore stesso di quei famosi “valori occidentali” che i giornali italiani dicono di voler difendere con questa atroce guerra per procura. O no?
Io mi dichiaro putiniano.
L’Ucronazia e i suoi sponsor occulti possono attaccarsi al tram.
E Folli e Cappellini hanno cognomi che sono tutto un programma.
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