
(Domenico Quirico – la Stampa) – E se quella che stiamo vivendo, quella che scuce l’Ucraina filo dopo filo, fosse una guerra coloniale, la Russia che vuole tornare impero e che si riprende una provincia perduta? Se proprio in questo carattere si pigiassero i suoi contorni, la ferocia, le tattiche? La guerra si definisce attraverso la lotta stessa che conduce. La Storia è una invenzione a cui la realtà porta i propri materiali: si tratta dunque di ritrovarne le tracce. Spesso stinte, ingiallite, alterate per nasconderle, perennemente prossime all’oblio.
La rapida disintegrazione dell’ordine Usa non sta determinando la rinascita di altri imperi che vogliono riprendersi quello che considerano storicamente loro, con i sudditi, le materie prime, il territorio che offre spazio e sicurezza? Qualcosa di anacronistico ma che non si può avviare senza ricorrere alla violenza. Alcuni hanno già iniziato, altri seguiranno, la Cina forse, quando la potenza militare si affiancherà alla potenza economica e sentirà il bisogno di controllare le risorse che le sono indispensabili e quindi coloro che le detengono?
Avrà bisogno non di fornitori ma appunto di colonie. Nella primavera del 1989 Kapuscinski, il grande giornalista polacco formato alla scuola della letteratura del reale, si lanciò in un viaggio di 60 mila km attraverso le repubbliche dell’Unione sovietica in via di decomposizione, dalla Polonia al Pacifico, dalla Kolyma al Caucaso. Scoprì pagina dopo pagina l’ultimo processo di decolonizzazione del ventesimo secolo, qualcosa che era famigliare a chi come lui conosceva bene l’Africa e l’America Latina.
Non si fece distrarre dalla narrazione della fine del comunismo che monopolizzava l’attenzione dei suoi colleghi, stregati dall’eclissi del dio che aveva fallito. Descrisse la fiammata del nazionalismo, l’intrico etnico creato dalle emigrazioni forzate sotto lo stivale staliniano, la fuga dei russi dai nuovi Paesi che gli ricordava l’Africa bianca degli Anni 60, l’eredità di governi in mano a gran visir incrostati al potere da anni.
La decolonizzazione russa gli apparve violenta e chiara perfino nel cuore dell’«imperium» sovietico: attraversò Donetsk rudemente russificata, Leopoli dove una vecchia gli raccontò la morte dei sei figli durante «la grande fame» orchestrata da Stalin, Kiev dove abbattevano la statua di Lenin e la gente gli diceva che voleva «uno Stato trasparente, buono, democratico e umanista».
Lo scrittore trasse allora una conclusione pessimistica. Aveva verificato di persona l’attaccamento dei russi al loro impero, la eredità difficilmente cancellabile di uno Stato autoritario e burocratico, la corruzione delle mafie, la catastrofe ecologica. Sperava nel miracolo che poteva compiere la disabitudine alla paura e nella vitalità tolstoiana del popolo russo. Trent’ anni dopo la guerra in Ucraina ci offre la prova che il suo modesto ottimismo era ingiustificato.
La Russia putiniana vuole riprendersi la colonia Ucraina, perduta, anzi gettata via nei giorni convulsi della dissoluzione dell’impero sovietico. La Bielorussia tenuta in ordine dall’obbediente Lukashenko è rimasta una colonia fedele; secondo Mosca gli ucraini invece si sono ribellati, perché altri avidi imperi momentaneamente dominanti hanno fatto loro promesse, garantito il sostegno per restare indipendenti. Se le spulciamo con un’ottica coloniale le azioni di Putin che appaiono folli, esasperate, entrano in una logica minuziosa e implacabile.
Il suo ministro degli Esteri Lavrov non ci prende in giro quando dice, sfidando l’evidenza, che «la Russia non ha invaso l’Ucraina». Applica i principi della vecchia scuola imperialistica sovietica, età a cui sembra peraltro appartenere: l’Ucraina non esiste perché è una colonia, non appartiene all’Europa, alla Nato, alle democrazie. Non invadiamo, ci riprendiamo quello che era nostro, perché fate tanto chiasso? E’ l’applicazione perfetta della logica (neo coloniale) di Yalta aggiornata alla ridefinizione putiniana dei rapporti di forza.
Un piccolo mondo metterniciano da quattro soldi. Bisognerà poi provvedere, dopo averla domata, a disoccidentarla, uniformarla allo stile del nuovo impero, insediare nuovi dirigenti che la controlleranno in nome di Mosca. Il modello è la Bielorussia, non la Finlandia. Non ci sarà bisogno di mantenere truppe di occupazione, affrontare pestifere guerriglie. Troppo costoso.
Saranno gli stessi ucraini a controllare l’Ucraina. Non è una idea originale: gli inglesi per un secolo hanno controllato l’india usando gli indiani. Il dominio indiretto è più efficace e economico. Anche nel definire i contorni delle tentennanti iniziative diplomatiche si applica la logica coloniale: i dirigenti ucraini non esistono, Mosca esige brutalmente che spariscano, fuggano, si arrendano. Non sono interlocutori sono sudditi ribelli, o peggio al soldo di imperi rivali.
Discuterà ma con l’impero Usa per ridefinire il nuovo equilibrio reciproco di cui l’Ucraina è una trascurabile pedina senza volontà propria. Al congresso di Berlino o a Yalta qualcuno ha mai chiesto cosa ne pensavano gli africani o le popolazioni dell’Europa dell’Est? Secondo questo cinismo coloniale il peso della indignazione internazionale è irrilevante. Per i fuggiaschi, le vittime, i profughi la compassione è esaurita da un pezzo. Diventano subito molesti come termiti e non c’è quasi nessuno che spenderà dopo poco tempo una buona parola per loro.
Putin accetta che ci possano essere delle contese con altri imperi nella ridefinizione delle sfere di controllo delle zone grigie del mondo. E’ sempre accaduto: il Grande Gioco in passato tra Russia zarista e Inghilterra sulla Via della seta, tra Francia e Inghilterra nella corsa all’Africa. Erano litigi tra complici nello stesso delitto. Perché incallirsi e affrontarsi in modo così assoluto e rischioso?
Per queste piccole beghe di confine, per cui si possono trovare, come accadeva in tempi meno chiassosi, accomodamenti, compensazioni, scambi reciproci? E’ solo con Biden che Putin vuole trattare, come ai bei vecchi tempi della Guerra fredda. Gli europei gridano ma non contano nulla, dal suo punto di vista sono dei sudditi coloniali anche loro.
E’ lo stile dei tempi. Il carattere coloniale della guerra è scritto nella sue caratteristiche belliche. Le guerre coloniali sono feroci. Con i ribelli o i primitivi si è sollevati dall’obbligo di rispettare convenzioni, bisogna dar lezioni di forza assoluta per cui sono utilissimi ascari arruolati tra le tribù dipendenti. Abbiamo già sentito il linguaggio di Mosca con gli ucraini: non è forse simile a quello degli inglesi con i Mau Mau o dei francesi con gli algerini?
Era più breve la divina commedia 😀ma La Stampa è quello che e’ la vox padronis, quindi…La libertà di stampa ha le sue controindicazioni.
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Saverio Masi
CHI E’ DAVVERO ZELENSKY?
Chi è davvero il comico ucraino divenuto beniamino della stampa occidentale e decantato come un eroe sulle copertine dei nostri settimanali e nei nostri Telegiornali?
Chi è il personaggio che sabato scorso si è palesato in divisa militare comparendo in diretta a Firenze tra gli applausi e le ovazioni della piazza dei Pacifisti a mano armata del PD?
Sappiamo che nasce nel 1978 da una famiglia di origini ebraiche e che la sua prima lingua non è l’ucraino, ma il russo.
Sceglie la carriera di attore e comico , fonda il 𝗞𝘃𝗮𝗿𝘁𝗮𝗹 𝟵𝟱 𝗦𝘁𝘂𝗱𝗶𝗼 e produce la Telenovela “Sluha Narodu” (Servitore del Popolo) in cui lo stesso Zelensky interpreta l’uomo qualunque che stanco della corruzione politica che imperversa in Ucraina, viene inaspettatamente eletto presidente.
Pare che a Igor Kolomoyskyi – potente uomo d’affari dal triplo passaporto ucraino, cipriota e israeliano, fiduciario degli USA e principale oligarca di Ucraina – guardando la popolare telenovela venga la magnifica idea di trasformare la fiction in realtà e di far interpretare all’attore comico Zelenzky la parte del Presidente non soltanto in video ma anche nella realtà.
Subito dopo Zelensky annuncia la fondazione di un partito che porta lo stesso nome della popolare telenovela: “Servitore del popolo” e, all’apice della sua popolarità televisiva, annuncia la propria candidatura alle elezioni presidenziali dell’anno successivo.
Da quel momento la sua società, la Kvartal 95, registrerà un anomalo flusso di finanziamenti, gestiti attraverso società off-shore con sedi in paradisi fiscali, per un ammontare di 𝟰𝟬 𝗺𝗶𝗹𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗱𝗼𝗹𝗹𝗮𝗿𝗶.
Il principale sovvenzionatore della campagna di Zelensky è proprio il discusso oligarca Kolomoyskyi, proprietario di 𝗣𝗿𝗶𝘃𝗮𝘁𝗕𝗮𝗻𝗸, la più importante banca in Ucraina, coinvolta in diversi casi di bancarotta fraudolenta e investimenti illeciti.
𝗜𝗴𝗼𝗿 𝗞𝗼𝗹𝗼𝗺𝗼𝘆𝘀𝗸𝘆 𝗲̀ 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗼 𝘂𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗶 𝗽𝗿𝗶𝗻𝗰𝗶𝗽𝗮𝗹𝗶 𝗳𝗶𝗻𝗮𝗻𝘇𝗶𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗶 𝗮𝗹𝗰𝘂𝗻𝗶 𝗱𝗲𝗶 𝗴𝗿𝘂𝗽𝗽𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗮𝗺𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮𝗿𝗶 𝗻𝗲𝗼𝗻𝗮𝘇𝗶𝘀𝘁𝗶 𝗲𝗱 𝘂𝗹𝘁𝗿𝗮-𝗻𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗶 che nel 2014 hanno prodotto il colpo di stato che ha rovesciato il legittimo governo del Presidente Janukovic innescando 8 anni di instabilità e guerra civile nella regione.
Nell’Aprile del 2019 Zelensky appena eletto Presidente provvede subito a distribuire incarichi governativi ai soci della sua società, la Kvartal 95.
Ivan Bakanov, già Amministratore Delegato della società, diventa il capo dei Servizi Segreti, mentre il Vice Direttore Serhiy Shefir diventa il portavoce ufficiale del presidente.
L’oligarca Igor Kolomoysky, padrino e finanziatore di Zelensky, ha forti interessi economici sul Donbass, motivo per cui il suo esercito privato di organizzazioni neonaziste, in parte inquadrate nell’Esercito ucraino, dal 2015 𝗵𝗮 𝘀𝘁𝗲𝗿𝗺𝗶𝗻𝗮𝘁𝗼 𝗰𝗶𝗿𝗰𝗮 𝟭𝟲 𝗺𝗶𝗹𝗮 𝗿𝘂𝘀𝘀𝗼𝗳𝗼𝗻𝗶 𝗻𝗲𝗹 𝘀𝗶𝗹𝗲𝗻𝘇𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶𝘁𝗮̀ 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗻𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲.
Questo è anche il motivo per cui Zelensky alle trattative di pace rifiuta le richieste russe di riconoscimento delle Repubbliche Popolari del Donbass ed è disposto a continuare la guerra con ogni mezzo, cercando in tutti i modi di coinvolgere la NATO e allargarla al resto d’Europa.
In base a quanto emerso nei Pandora Papers e riportato dal “𝗧𝗵𝗲 𝗚𝘂𝗮𝗿𝗱𝗶𝗮𝗻” 𝗱𝗲𝗹 𝟯 𝗼𝘁𝘁𝗼𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟭, Zelensky detiene quote azionarie di tre società off-shore, ha legami con diversi oligarchi da cui riceve finanziamenti illeciti e introiti miliardari ed è coinvolto direttamente in un giro di armi e soldi ai neonazisti.
Alla luce di ciò e del suo 𝗱𝗶𝗰𝗵𝗶𝗮𝗿𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗲𝘀𝘀𝗲 𝗮 𝗳𝗮𝗿 𝗮𝗱𝗲𝗿𝗶𝗿𝗲 𝗹’𝗨𝗰𝗿𝗮𝗶𝗻𝗮 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗡𝗔𝗧𝗢, piazzando basi missilistiche americane ai confini della Russia, invocando la no-fly zone e l’uso della bomba atomica, viene da chiedersi se il presidente ucraino sia davvero l’eroe che i mass media europei stanno rappresentando.
Ci domandiamo se i politici e i mezzi di informazione occidentali si rendano davvero conto di quale grumo di affarismo e corruzione si celino dietro questo turpe personaggio e di quanto ci stiano facendo rischiare nell’assecondare i deliri bellici di questo faccendiere squilibrato.
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no ha ragione (in parte) Quirico
per questo la resistenza e la devastazione dell’Ucrania è inutile
verrà smembrata una ad oriente e una a occidente
per questo dovevano e devono trattare
per salvare il salvabile
ma le teste dei nazionalisti, nella loro malata mentalità,
la considerano una sconfitta
nella storia l’abbiamo vista troppe volte
ed è sempre finita male per la maggioranza della popolazione o per le minoranze
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Vero, verissimo. Solo che l’Ucraina del XXI secolo non è l’India del XIX, con il suo sistema castale tipico della tradizione induista (ma a cui anche musulmani e cristiani autoctoni si erano subito adattati), che infondeva una naturale attitudine alla subordinazione. Infatti gli indiani erano placidamente passati dalle dominazioni arabe, a quelle mongole a quelle delle altre potenze coloniali (prima i portoghesi, poi i francesi e infine i britannici) senza quasi fare un plissé. Fu necessario un avvocato educato nei migliori college inglesi che riuscì a coniugare genialmente le teorie positiviste occidentali con la tradizione locale per scuotere e sradicare la malapianta del colonialismo britannico. Un altro aspetto sono gli oltre trent’anni intercorsi tra lo scioglimento dell’URSS e la barbarie d’oggi, in cui l’Ucraina ha intrapreso un deciso e convinto cammino di occidentalizzazione (che ha conquistato perfino l’est russofono da ben prima dell’ “operazione militare speciale”). Questo, senza almanaccare sulla diversa concezione del potere che russi e ucraini hanno sempre avuto- verticistico i primi, collegiale e condiviso gli altri (autocrazia vs atamanato- ben descritta dallo storico Michaylo Hrusevts’kyi.
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Sarebbe anche un articolo in buona parte condivisibile, se non fosse pubblicato in un giornalaccio asservito e che utilizza ogni mezzo, anche subliminale, come la “Carneficina” senza riferimenti dell’altro giorno, per sostenere la sua crociata di menzogne plateali
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