(Paolo Mastrolilli – la Repubblica) – L’intelligence americana era così sicura che alla fine Putin avrebbe invaso l’Ucraina, che fin dall’inizio di dicembre il Pentagono aveva accelerato le operazioni per armare i militari di Kiev, mettendoli in condizione di difendersi. Guardano la lista delle forniture, si capisce anche come la strategia si basasse sul rallentamento iniziale della prima ondata di attacchi, e poi sulla creazione di una guerriglia urbana di lungo termine. La conferma viene dai documenti declassificati delle consegne effettuate dagli Usa e dai loro alleati, che il Washington Post ha ottenuto e pubblicato.

In più c’è da aggiungere che parecchi veterani delle forze armate americane si stanno offrendo come volontari per combattere al fianco degli ucraini, che potranno aiutare tanto in termini tattici, quanto nell’impiego proprio delle armi che avevano già usato su altri teatri di guerra. Gli Usa si sono impegnati a fornire aiuti bellici di varia natura a Kiev per un miliardo di dollari, di cui 350 milioni autorizzati il 25 febbraio. A loro si sono aggiunti 14 paesi alleati che hanno dato una mano, dalla Germania all’Italia.

Era noto che al primo posto della lista ci fossero i razzi anti carro Javelin, che sono una delle ragioni per cui l’offensiva russa ha incontrato così tante difficoltà a procedere sul terreno, inclusa la lunga colonna bloccata alle porte della capitale. E i missili Stinger Manpads, che invece hanno preso di mira elicotteri e aerei, complicando l’obiettivo di Mosca di ottenere il dominio dei cieli. Molti analisti militari sono rimasti sorpresi dalla sostanziale assenza dell’aeronautica nella battaglia.

Al principio ritenevano che non fosse entrata in azione in maniera massiccia perché il piano prevedeva la rapida conquista dell’Ucraina e la resa delle forze locali, e quindi non sarebbe servita. Ora però questa versione non regge più, e quindi gli osservatori si chiedono se non ci siano problemi tecnici e logistici che hanno fermato anche l’aviazione, tra cui la mancanza di piloti addestrati al combattimento e l’inadeguatezza dei materiali. L’efficacia degli Stinger è una delle ragioni, perché i caccia russi si sentono minacciati, in particolare quando devono volare di giorno, ma poi di notte non hanno una capacità operativa all’altezza del compito.

Questo evidenzierebbe un’inferiorità strategica sostanziale, che potrebbe risultare decisiva anche in caso di scontro diretto con la Nato. Perciò il presidente Zelensky ha sollecitato la creazione di una no fly zone, e la consegna dei vecchi Mig e di altri apparecchi dell’era sovietica ancora in dotazione ai paesi Nato che facevano parte del Patto di Varsavia, perché è convinto che i suoi piloti sarebbero in grado di tenere sotto scacco quelli di Putin. Nello stesso tempo, però, il Pentagono non si fa illusioni su quanto a lungo gli ucraini potranno evitare la caduta di Kiev.

In assenza di un intervento diretto della Nato, queste armi dovevano frenare l’avanzata iniziale, ma poi la vera partita si sarebbe giocata nel lungo termine. Quindi Washington si era già mobilitata per preparare gli ucraini alla guerriglia di insurrezione, che seguirà al completamento dell’occupazione.

Perciò aveva fornito lanciarazzi M141, shotgun M500, lanciagranate Mk-19, armi anti elicottero M134, e anche tute speciali per proteggere i soldati dalle esplosioni ravvicinate, ad esempio quando si tratta di disinnescare le mine. Tutti questi materiali sono pensati soprattutto per i combattimenti urbani, e dimostrano come gli americani si aspettano che questa sia la direzione verso cui andrà il conflitto, anche dopo l’eventuale caduta di Kiev e dello stesso Zelensky. Se è vero, conducendo la sua avanzata di stampo bellico tradizionale contro le grandi città, Putin sta cadendo in una trappola. E il Pentagono ha già fornito agli ucraini le armi e l’addestramento per fargliela pagare nel lungo termine, mentre le sanzioni lo mordono in casa.