(Giuseppe Di Maio) – Di questi tempi è inevitabile incocciare in babbei tifosi. Tuttavia a noi tocca armarci di pazienza, giacché la tolleranza non è una religione, ma una condizione dello spirito che consente di prendere meno sviste possibili. Bartolomeo, il patriarca di Costantinopoli, è una persona colta. Ha studiato a Roma e a Monaco e se qualche anno fa decise di concedere l’autocefalia (indipendenza) alla chiesa di Kiev sapeva che avrebbe dato l’abbrivio al risentimento nazionale russo. Recidere il legame tra Kiev e Mosca non è manco per la Chiesa Ortodossa un’operazione priva di risvolti politici. Difatti il Patriarca di Mosca Cirillo ha scomunicato i vescovi ucraini, per dimostrare Dio da che parte sta.

Nella sua “Storia dello Spirito Russo”, Dmitrij Tschizewskij illustra come ogni mutamento della storia russa è stato caratterizzato da una costante: le riforme vengono sempre d’alto e la massa del popolo è costretta a seguire sotto la minaccia di dure repressioni. Qualche volta queste trasformazioni sono stati veri e propri impulsi di modernità verso cui la popolazione ignorante ha opposto resistenza. Ma più spesso sono state imposizioni di un centro sulla sterminata periferia, costretta per forza di cose a chinare il capo. “Michail”, disse una donna durante un viaggio di Gorbačëv nelle campagne, mentre pubblicizzava la Perestrojka “…io non so cosa stai facendo, ma che Dio ti benedica”. Purtroppo Michail credeva che la Russia fosse diventato un paese in cui si potesse avviare un processo democratico, invece era ancora un paese arretrato, con un terribile spirito privato istigatore di corruzione, in cui era possibile solo la dittatura di palazzo.

Poi venne Eltsin e poi Putin, che difatti hanno attuato la più selvaggia transizione verso l’economia di mercato del secolo XX. Anche il neonato regno d’Italia inventò buona parte del suo capitalismo con l’intervento pubblico, regalando a privati amici i servizi e il patrimonio nazionali. Dev’essere questa, la costante di ogni paese che nasce troppo in fretta e senza coscienza nazionale. E prima dunque che si formasse la coscienza democratica, la Russia si trovò piena zeppa di oligarchi, cioè di giovinotti vicini al partito e ai nuovi zar che si spartirono le spoglie dell’impero sovietico. Oggi siamo sempre più curiosi di conoscere con precisione l’ammontare dei soldi di Putin, che fa i consigli di guerra a tavole rotonde con gli oligarchi, i quali posseggono quasi la metà delle ricchezze del paese; dunque, una cosa molto più importante del nostro CNEL. Poi, si aprono le enormi porte bianche, e Vladimiro passa tra due fila di astanti alla maniera di Totò le Moko che ritorna al tavolo dopo la danza apache. E se non gli fanno vincere la guerra, spara le atomiche.

Ora, a chi fa lo stratega degli interessi russi e dell’ingerenza NATO, a chi misura le distanze e studia i trattati, sfugge una questione sostanziale. Ai tempi della crisi di Cuba le forze in campo erano campioni di due stili di vita opposti e confliggenti, due civiltà che si scontravano sul piano ideologico, economico, politico e militare. Oggi, a cosa serve l’arsenale nucleare che ha in dote la Federazione? A proteggere le fortune dei magnati amici di Putin? Diciamola tutta: a proteggere le classi dirigenti e abusive dei due contendenti? I Boiardi sono tornati nella storia russa, ancora più potenti del tempo di Pietro il grande. Non hanno più le barbe, tanto se le fanno crescere i pretoriani ceceni dello zar, lanciati nella guerra come le truppe marocchine del generale Alphonse Juin, che per quattro soldi smargiassano la loro ignorante gioventù al grido di Allahu Akbar.

Ma quale guerra vuole mai vincere l’amico di Berlusconi, al quale lo legò il comune dileggio della volontà popolare? La sua aggressività potrà servire forse tra le mura del Cremlino, ma l’opinione pubblica mondiale l’ha già bocciato, e gli renderà amara la possibile vittoria.