(Massimo Gramellini – corriere.it) – Osservata dai nostri tinelli, la Putinata ha il torto aggiuntivo di sovrapporsi alla fine dell’emergenza pandemica, o quantomeno al suo annuncio, atteso da due anni.

Ogni volta che in televisione vedevo spuntare Conte e poi Draghi (a orari più decenti) con la lista dei divieti, l’ottimista acquattato in qualche ansa della mia ansia si convinceva che sarebbe stata l’ultima. Che alla prossima il premier avrebbe tenuto il discorso della Vittoria. In cuor mio avevo deciso che la parola in codice sarebbe stata Dad. Il giorno in cui avessero annunciato la fine della odiosa didattica a distanza, mi sarei sentito autorizzato a festeggiare.

Adesso l’annuncio c’è stato, ma si è sovrapposto a quello di Putin, facendoci ripiombare nel solito schema.

Anche allo scoppio della pandemia eravamo convinti che non sarebbe potuta arrivare fin qui e il paziente zero ci prese alle spalle come una pugnalata, sconvolgendoci la testa ancor prima della vita. Un senso di panico ben diverso dalla paura, che è sempre paura di qualcosa di definito. Mentre allora, proprio come ora, il timore si nutriva di incertezze: sulle cause, sulla durata, sulle conseguenze, su tutto.

Fin dove si spingerà Putin? E il costo delle bollette? Da quanta nuova angoscia verremo invasi? Se dopo la pandemia è arrivata la guerra, non è che dopo la guerra arriverà un’altra sciagura? Il prossimo sogno del povero ottimista è sentire il governo proclamare lo stato di NON emergenza.