(Giuseppe Di Maio) – Avete visto quanto siano inutili le ideologie? Se il PD fosse stato un partito non dico “ideologico”, ma almeno con delle idee, non avrebbe avuto un Renzi. Il guazzabuglio grillino ripudiò le ideologie come ricette del passato e si affidò all’incerta individuazione dei “valori” che, nella temperie del decennio passato, produsse un ampio stuolo di seguaci, ognuno di loro con un’anima speciale. La religione era la stessa ma gli dei erano tanti. Credeva di appartenere al Movimento sia chi aspettava la rivoluzione liberale che chi aveva a cuore la riduzione della disuguaglianza, sia chi voleva una democrazia compiuta che chi preferiva un capo incorrotto e dispotico, furono grillini i fanatici dell’espulsione e i santoni dell’accoglienza, i federalisti e gli unitaristi, giustizialisti e libertari, proporzionalisti e maggioritaristi etc… Su tutto il garbuglio si ergeva sovrana la dea onestà. Che però senza argini ideologici era concepita in maniera del tutto soggettiva. Chi pensava che onestà fosse non rubare mai e chi solo in condizioni estreme, chi pensava fosse dire sempre la verità e chi anche mentire a fin di bene, chi non tradire il gruppo e chi non tradire la gente, e così via.

I latini credevano che quando il numero delle leggi fosse sconfinato, lo Stato ridiventava natura. E, quando le idee delle stelle furono una galassia, si fece avanti un carattere naturale: Di Maio. Non sono mai stato bravo a giudicare gli uomini: mi trovo più a mio agio con la geometria delle idee che con i sentimenti. Quando incontrai Di Maio mi accorsi della sua personalità ispida e ringhiosa, ma cancellai immediatamente quella brutta impressione, perché qualunque cosa egli fosse stato lo era al servizio della gente. Al tempo delle sue dimissioni ne feci persino un elogio pubblico, esaltandone l’obbedienza e il sacrificio. Purtroppo devo rinnegare tutto. Il suo attuale tentennamento e l’incertezza delle sue mosse future non sono che il prodotto degli incerti valori grillini.

Anche la simpatia che continua a trasmettere Dibba è frutto di equivoci ideologici. Così pure Fico, quello con le mani in tasca durante l’inno nazionale. Guardatelo ora. L’altra sera Alessandro, il pasionario del Movimento, ha ricordato come fu fatto fuori con la storia della leadership collegiale, e come poi fu indicata senza colpo ferire la direzione unica di Conte, cioè quando lui non costituiva più un pericolo. La vaghezza dell’amore per Di Battista è amore per alcune cose che ha indicato e per una certa sua coerenza. Quello per Conte arriva dai successi dei suoi governi e dalla virata ideologica del suo Statuto. E’ qui che lo spazio per Di Maio è venuto a mancare, dall’obbligo a seguire un obiettivo, non solo un programma, dalla fine del guazzabuglio in cui potevano prosperare le virtù naturali del carattere.

L’animo pentastellato nella sua ansia egualitaria ha creduto, tra le altre sue mitologie, che la magistratura potesse avere un ruolo livellatore. Errore mortale. Gli amati giudici sono i più attivi catalizzatori della disuguaglianza. E il Tar di Napoli, al di là dei ricorsi e delle deduzioni, ha fatto un’indebita ingerenza tra regole private. Speriamo che Giuseppe Conte, con la sua pratica del sistema giudiziario, contribuisca a scardinare l’ennesima leggenda…