(Giuseppe Di Maio) – Se credessimo di aver a che fare con tanti Salvo D’acquisto così come vorrebbe la vulgata dei corpi militari, ci sbaglieremmo di grosso. Né allora né oggi il valore giovanile, la generosità estrema, l’amore di patria, sono virtù tipiche di un carabiniere, esse furono solo singolari virtù civili di un napoletano del rione Antignano. Le forze dell’ordine, che passano per eroici presidi della legalità e della giustizia, blandite e protette dalla destra, adulate dalla sinistra, danno al cittadino un’impressione molto diversa.

Dopo la farsa del “golpe dei forestali” di Borghese, l’immaginario popolare dei primi anni ’70  era convinto che in Italia un colpo di Stato fosse possibile se progettato dall’esercito, dai carabinieri, e non da forze politiche. Immaginava cioè, che alcune funzioni della democrazia si rivoltassero contro di essa per ottenere degli obiettivi non contrattuali. Alla fine di quegli stessi anni però, l’egemonia culturale della sinistra sfoltì le fila degli arruolamenti militari considerati persino con un certo disonore, “la disoccupazione ti ha dato un bel mestiere…”, si diceva. Ma la nostra società da allora è cambiata, il serbatoio sociale e geografico che forniva personale ai corpi militari è stato sostituito con sedimenti di società ancora più squalificanti di quelli a cui eravamo abituati mezzo secolo fa.

L’avventura spesso spiacevole di aver a che fare con un tutore dell’ordine ci dice quanto la selezione a cui è stato sottoposto sia stata inadeguata, quanto la sua preparazione insufficiente, e quanto nemica delle abitudini civili e delle garanzie costituzionali. La sua presunzione di essere al servizio di un incerto ed elastico dovere di legge e non della democrazia, è ciò che rende un incaricato di polizia ostile ai cittadini. La stessa presunzione che ha un magistrato. Proprio nelle forze dell’ordine si rende plastica la natura dello Stato quale “espressione dei dominanti”, poiché è proprio l’impreparazione degli agenti, diciamo pure la loro ignoranza, che garantisce la servizievole funzione di protezione dell’autorità, delle maggioranze, della proprietà… del denaro. E allora se non sono al servizio della democrazia sono tutt’al più un esercito privato servo di un potere reale, e le storielle su di loro non fanno più ridere.

La nostra Repubblica non riesce a generare una legge sul mobbing né tantomeno sulla tortura. A guardia degli abusi di tutori, custodi e vigilanti, di un’intera civiltà della convivenza, solo pochi articoli del codice penale e di procedura. Il cordoglio per il carabiniere Mario Cerciello Rega non ci può accecare. “Ammazzateli più che potete, alla Cucchi”, “Li avete sfondati di mazzate?”, “Bisogna squagliarli nell’acido” etc, sono le frasi scambiate nelle chat dei custodi dell’ordine. Non possiamo più considerare casi isolati gli abusi dei “bravi” del potere. Non possiamo considerare gli habitué dell’impunità ancora al servizio della gente. Troppi episodi ce lo dicono. Se non è venuto il tempo di una rifondazione della forza pubblica, se non è tempo di ripensare alla sua funzione, vuol dire che abbiamo rinunciato ad avere una cittadinanza, e perciò una democrazia.