(Giuseppe DI Maio) – Finalmente è finita. Ancora qualche servizio, una discreta presenza nei telegiornali, nei dibattiti, ma la lunga settimana di Sanremo è passata. Per giorni e giorni non si è potuto accendere la scatola magica che istantaneamente si dava inizio a una persecuzione. Lo spettacolo era il festival, la notizia era il festival, i personaggi eminenti erano conduttori, collaboranti e cantanti, il passato e il futuro dell’Italia erano Sanremo e ciò che gli appartiene. Eppure erano da poco passate le altre settimane in cui non si parlava che dell’elezione del Capo dello Stato, era stato già tutto dimenticato? Magari qualcuno se l’è chiesto. E allora perché non accostare Mattarella ad Amadeus, perché non trovare qualcosa che li unisce? Una telefonata? Un obiettivo: il festival della democrazia. Mattarella contento di Amadeus, Amadeus felice di Mattarella.

Da giorni una notizia contendeva le prime pagine al biondo platino di Drusilla, il povero Ryan era accerchiato dalle telecamere di tutto il mondo. E, come si poteva prevedere, alla fine non ce l’ha fatta. L’interessante era stare lì a parlarne, lungamente, retoricamente, spietatamente, in spregio ai sentimenti più veri e più spontanei. Ne ha parlato anche il Papa dalla sua finestra. E quando è venuta sera, Fazio gli ha messo una telecamera davanti al tavolo e glielo ha fatto dire di nuovo. E hanno parlato degli amici del papa, di quelli con cui gioca a tresette, con cui forse parla di fede, o di affari di stato. Il festival della religione. Il Papa contento di Fazio, Fazio felice di Bergoglio.

E poi ci sono le notizie di chi spara alla suocera, di quante sono quelle uccise, della nostra società tanto cattiva che vuole eliminare le donne, che vuole eliminare il femminino. E ne parla il Papa, ne parla Mattarella, da un telegiornale che conserva ancora Giorgino per non rivelare di avere solo donne. Poi, c’è il virus, ci sono altri spettacoli, lo sport, il tempo, ma del governo non parla nessuno: non parlano delle leggi, degli aumenti in bolletta, della sentenza della Consulta, che con stipendi da 15mila euro al mese è riuscita a capire che con 285 euro non si può vivere. Nessuno dice un acca della Democrazia. Ma parlano dello scontro Conte/Di Maio, della mancata democrazia a 5 stelle, con lo scopo di dissuadere le resistenze estreme, quei pochi testa dura che sperano ancora nella rivoluzione della politica. Sarà per tutto questo che quando finisce un telegiornale viene la sgradevole sensazione di essere stati derubati? Ma forse è solo mia, non deve essere una sensazione tanto comune. E’ così che si addestra un popolo, è così che lo si raggira.

Lo share è alto, in questa settimana non c’è astensione, quasi ogni italiano è capace di alzare la paletta per votare il suo cantante preferito. L’educazione impartita dalla dittatura mediatica ha avuto il suo effetto, checché pensi o dica Di Maio sulla libertà d’informazione. Intanto i suoi colleghi “portavoce” sono fuori dalla Rai, Meloni fuori da Mediaset, il padrone punisce sempre il proprio nemico. Così si squalifica un popolo, così gli si impedisce di riconoscere i suoi nemici. Confalonieri è contento di Foa, Fuortes è felice di Pier Silvio. Noi siamo felici. E semmai qualcuno di noi dovesse sognare di cambiare le cose, fantasticherà ancora di assalire Montecitorio, a nessuno verrà in mente di portare la plebe inferocita in viale Europa a Cologno Monzese, o sulle sponde del Tevere a Saxa Rubra.