(Bartolomeo Prinzivalli) – Stavolta lasciamo perdere allegorie, simbolismi e ragionamenti filosofici, non perché siano incomprensibili ai più, per carità, ma parliamo semplicemente. Non credo che la sentenza del tribunale di Napoli cambi alcunché all’interno del soggetto politico 2050, immagino che la sospensione sia aggirabile con poco e più che far ridacchiare qualche giornalista e preoccupare qualcun altro non sortirà effetti, non quelli che promette. Per me sicuramente non cambierà nulla, la mia scelta non dipende certo dalla presenza di Conte, Di Maio o Di Battista, loro continuo a considerarli terminali transitori e intercambiabili di un progetto ormai andato in fumo. Perché in fumo? Perché controllori ed attivisti (vero motore della rivoluzione dal basso) si sono definitivamente trasformati in spettatori e tifosi, al massimo interpellati col televoto da reality su domandine preconfezionate dall’esito più che scontato, comunque sovvertibili all’esigenza. Della rivoluzione culturale si sono perse le tracce anni fa, della democrazia partecipata non è rimasto nemmeno lo slogan, quello che resta è un partito con i furono portavoce a fare un po’ quel che gli pare, creando addirittura correnti interne e faide di potere. Il vincolo dei due mandati si è dissolto nei fatti, perché altrimenti si sarebbe perso il “bagaglio d’esperienza”, come se negli ultimi cinque anni i vecchi non avessero potuto insegnare nulla agli eletti nel 2018, infatti degli ultimi “onorevoli” eletti (una caterva) non si è distinto nessuno. Come mai? In meno di un anno dal 2013 tutti avevamo imparato a conoscere diversi esponenti emersi per capacità e personalità, cos’è, stavolta sono stati eletti del brocchi, menomati e inetti? O forse c’è dell’altro? Domande che la cosiddetta base non s’è mai posta finora, mah.

Certo, a differenza di altri partiti questi almeno non rubano (ancora), si accontentano (ancora), non sono avidi (ancora), cercano di realizzare qualcosa del programma temporaneamente a costo di chiudere un occhio su altre parti essenziali dello stesso, magari ottenendo un risultato nell’immediato, ma allo stesso modo scendendo a compromessi, compromettendosi e compromettendone efficacia e durata. In pratica da “non si arrenderanno mai, noi neppure” a “meglio che niente”.

Ma di questo non do la colpa agli eletti né a chi ha cambiato casacca, ciascuno si spinge fin dove gli viene concesso, e tutto questo gli è stato ampiamente concesso dal silenzio e dalle continue giustificazioni della fu base, perché altrimenti vince la destra con cui si è governato, la sinistra con cui si è governato oppure le banche ed i mercati con cui si sta governando. Minchia che paradosso. Onestà facendo figli e figliastri, giustizia adottando le regole a intermittenza o cambiandole all’occorrenza. Questo ha distrutto il progetto, questo ha polverizzato la voglia di partecipare attivamente, di dare il proprio contributo, di mettere a disposizione le proprie capacità. Da comunità orizzontale a struttura piramidale stratificata, da uno vale uno a classi dai privilegi crescenti.

I megafoni sono diventati come dei figli, difesi e protetti a prescindere, viziati al punto di rinnegare ogni valore professato. E alcuni hanno persino il coraggio di chiamarla evoluzione.

È un partito di sinistra moderata, con capi e capetti, gerarchie e ruoli definiti, accordi e contrattazioni fra colleghi, tutto qua. Chi dice il contrario è un ipocrita o un fesso.

Non certo qualcosa di cui sentirmi orgoglioso di far parte, nemmeno qualcosa a cui voler essere accostato, per dirla tutta.

A coloro a cui invece sta bene tutto dico di continuare a dormire beatamente, con la mano sulla guancia, le ultime vicende non meritano alcuna preoccupazione. I buoi sono fuggiti da tempo, a che serve interessarsi dei cancelli?