
(Dott. Paolo Caruso) – Lo spettacolo indecoroso offerto dalla mediocrità dei partiti per la elezione del tredicesimo Presidente della Repubblica conclusosi con la rielezione al Colle di Sergio Mattarella, a cui non si è sottratto per pochezza neppure il M5S, rappresenta per i pentastellati la cartina tornasole del brutto andazzo intrapreso da quella che fu la galassia stellare partorita da una idea geniale di Grillo e Casaleggio, e che con un comportamento antitetico ai propri principi ha messo in luce la trasformazione genetica avvenuta in alcuni esponenti di spicco all’interno del movimento stesso. Sono passati quasi quattro anni da quando il M5S accompagnato da un grande consenso popolare e dalla voglia di un cambiamento reale si è insediato nei Palazzi Istituzionali, e da allora da quel 4 marzo 2018 sembra che sia trascorso un secolo. Il primo partito italiano fuori dal Sistema che non ritrova più le sue origini, il suo recente passato di lotta e di governo, che ha perso la sua identità viene per biechi personalismi attraversato da gravi divisioni interne. Lo stesso “Ragazzo” di Pomigliano, Luigi Di Maio, uno dei capi storici del M5S, che insieme a Di Battista e ad altri compagni di lotta ha richiamato l’etica pubblica a stella polare dell’azione pentastellata, non può oggi incarnare i peggiori comportamenti della politica da prima repubblica. Il suo agire autonomamente nelle segrete stanze dei palazzi, il suo operare personalistico in determinate scelte politiche, il suo tramare e tessere nuove alleanze con esponenti di altri partiti da sempre avversari politici alle spalle del Presidente 5 Stelle, Giuseppe Conte, rendono oscuro il comportamento del Ministro Di Maio e ne tracciano l’aspetto di un personaggio legato in maniera viscerale al potere, che essendosi sbarazzato dei valori fondanti spinge ancor di più il movimento verso il baratro, creando imbarazzo e sconcerto nei militanti e sostenitori pentastellati. La confusione correntizia che si respira all’interno del movimento fa si che il presidente Conte rappresenta il classico gigante dai piedi d’argilla. Il Sistema, il luccichio del “Palazzo”, le sirene incantatrici del potere, riescono con il tempo a cambiare gli uomini e come purtroppo accade in ogni rivoluzione lo stesso potere progressivamente logora i nuovi Capi facendo ammainare qualsiasi bandiera ideologica. Di Maio questa volta ha tradito i suoi elettori, ma più che altro ha tradito se stesso, e i principi per cui ha combattuto. La previsione di Casaleggio, “Un soggiorno prolungato al potere avrebbe portato gli eletti verso forme corruttive” si abbatte come una maledizione sul M5S e investe i suoi uomini più rappresentativi. Il “Ragazzo” di Pomigliano che avrebbe dovuto aprire il “Palazzo” come una scatoletta di tonno si ritrova ad essere Lui stesso il tonno, non ha più orecchie per sentire ne occhi per vedere la realtà che lo circonda, non prestando la dovuta attenzione continua la sua corsa personale in netto contrasto con gli interessi del Movimento in uno sdoppiarsi di coscienza tra colpevolezza e individualismo estremo. Partendo da questi presupposti tutto viene messo in discussione, l’arrivismo e l’ipocrisia rappresentano ormai i fondamentali ideologici di certi personaggi della politica pentastellata. La diatriba tra Conte e Di Maio, due figure importanti per la tenuta del Movimento 5 Stelle, due uomini affetti da egocentrismo viscerale e da sete di protagonismo, rischia di portare l’azione politica ad uno stallo. La vicenda è comunque di estrema gravità per rimanere nel limbo delle supposizioni, anche perché il nastro della storia di questi giorni è impossibile da riavvolgere rendendo ancora più meschina l’azione perversa del Ministro Di Maio. Una operazione divisiva del gruppo parlamentare pentastellato che rende sempre più fragile il Movimento e il suo Presidente nel contesto politico attuale e che risulta davvero inaccettabile per il popolo 5 Stelle. Con le dimissioni dal comitato di garanzia Di Maio fa un passo indietro rimettendo si spera tutto in un piano di civile confronto, elemento di chiarimento definitivo e necessario nella vita del Movimento, anche se a quanto pare le premesse non sembrano proprio di buon auspicio.
Contesto il fatto che G. Conte sia affetto da egocentrismo e da sete di protagonismo, certo noi non eravamo più abituati a vedere un politico che si spende per quella parte del popolo che non ha voce e non ha rappresentanza. Ci siamo abituati ai politici che fanno gli affaracci loro. Oggi se Conte decidesse di lasciare il movimento, ne uscirebbe rafforzato come figura, da un punto di vista deontologico e morale, perchè come PdC ha lavorato bene, si è fatto ben volere, ha suscitato simpatie e certamente potrebbe riprendere il lavoro di avvocato e professore universitario da una posizione di vantaggio.
Di Maio, novello Ulisse incantato dalle sirene poltronare,ci è apparso logorato da una sete di potere che ci ha spiazzato. Poverino preda delle iene renziane, prima gli davano del locco o del bischero, (usando 2 parole toscane) ora lo incenzano.
Eh… quando il diavolo ti accarezza vuole l’anima!
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mi correggo “incensano” scritto troppo veloce
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Conte è circondato da avvoltoi.Vedi la proposta di candidatura (per bruciarlo a Roma).È la sua opposizione alla elezione di Draghi che ha evitato la Repubblica presidenziale di fatto.Ora dovrebbe puntare i piedi per esempio sulla non modificabilita’ della legge Bonafede e se non ascoltato togliere la fiducia al governo.
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