(Bartolomeo Prinzivalli) – Mai come oggi si percepisce una diffusa disaffezione per la politica, una sorta di repulsione che spinge verso l’abbandono della tessera elettorale in uno di quei cassetti destinati a non aprirsi più, salvo in futuro dopo un attacco di pulizia approfondita stupirsi di cosa ci sia rimasto dentro per anni.

Forse a causa di quest’amalgama governativa in cui tutte le varie forze si mescolano perdendo il proprio caratteristico colore, forse a causa delle restrizioni da pandemia o per il caro materie prime, carburanti e bollette, il cittadino comune sente aumentare la distanza da quelle aule quasi astratte o situate in universi paralleli, come se da tali alture si scorgessero realtà distorte, assai differenti dalla umile quotidianità.

Ma, si sa, l’italiano è egoista di norma e non si accorge che invece è proprio l’opposto, ossia che egli è al centro di ogni dichiarazione o gesto politico.

Quando Berlusconi decide di candidarsi al Quirinale non lo fa per sé o per divincolarsi dalla morsa della magistratura, ma pensando a Guerino da Cremona, camionista sessantaquattrenne, che una volta lo salutò ad un incrocio col clacson bitonale augurandogli di presiedere la Repubblica. Quando Letta si rimangia la parola sulla Belloni non è a causa delle correnti interne o per paura di perdere la leadership, ma gli ritorna in mente la frase di Epifanio da Tivoli, ex metallurgico ottantaduenne, che sei anni fa ad un convegno del Pd si alzò in piedi ed urlò che per rifondare il paese sarebbero serviti uomini con le palle, e la Belloni ne è anatomicamente sprovvista. Quando Salvini prova l’annessione di Forza Italia al suo partito non lo fa per contrastare l’ascesa della Meloni che lo relegherebbe ad un ruolo marginale nel centrodestra, ma ripensando al sogno di Giuberto Brambilla, piccolo imprenditore bergamasco settantatreenne, vissuto trent’anni in America ed affascinato dal Partito Repubblicano tanto da volerlo importare nello stivale. Quando Renzi lotta per riformare la giustizia il suo intento non è salvarsi le chiappe comprese quelle di parenti e amici, ma gli incubi per le lacrime di Filorma da Chieti, casalinga vedova cinquantasettenne con tre gatti, che ogni anno vede recapitarsi puntualmente la cartella esattoriale per la tassa di circolazione della panda rottamata nel ’97. Quando la Meloni sbraita inveendo contro gli ex alleati per poi riappacificarcisi a giorni alterni non lo fa per convogliare su di sé il maggior numero di voti che in politica significano denaro, ambizione e longevità, ma in memoria di Priamo Benito, muratore romano scomparso a novantadue anni, che quando faceva ancora la babysitter le disse che l’Italia intera abbisognava di disciplina, ubbidienza, credo religioso e qualche sculacciata ogni tanto. Quando Di Maio apre un dibattito interno al partito, chiedendo di ascoltare tutte le voci dopo aver in passato espulso senza pietà chi osava appena mugugnare dissenso, non lo fa per interessi personali ma ripensando a Turiddro da Trapani, meccanico quarantunenne, che cinque anni fa durante un’agorà in piazza, in terza fila indossando una maglietta gialla con due strisce oblique verdastre, cercò di dire la propria venendo zittito a suon di booo dai presenti.

Ecco, questi pensieri animano l’azione di ogni onorevole, queste immagini tormentano le loro notti, bloccano i loro appetiti. Lo fanno per noi.

E noi che pensavamo di astenerci…