(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Che il gran ballo del Potere abbia perso sacralità agli occhi dei cittadini è cosa nota. Ma non immaginavo che il disincanto sarebbe arrivato a lambire il conclave laico per eccellenza: l’elezione del capo dello Stato. Quando Fico ha proposto di montare un seggio fuori Montecitorio, così da consentire ai grandi elettori positivi o in quarantena di votare senza scendere dall’automobile, ho ingenuamente pensato: bella mossa. E invece sui social è partita la tormenta: vergogna, i soliti privilegiati, pensano solo ai comodacci loro. Il fatto che stavolta «i comodacci loro» coincidano con la scelta della persona che per sette anni rappresenterà tutti noi, sembrerebbe un particolare secondario.

Si comprende che i retroscena di un’elezione presidenziale appassionino solo gli esperti di scacchi e che una riunione tra Fraccaro e Bettini o tra La Russa e Tajani non tolga il sonno ai comuni mortali. Ma che addirittura si consideri un sopruso la soluzione escogitata per esercitare un diritto così gravido di conseguenze per l’intera comunità nazionale potrebbe farci credere che l’evento di cui i media si occuperanno spasmodicamente la prossima settimana abbia perso il suo antico fascino. A meno di voler spiegare quest’ultima levata di scudi contro la Casta con la natura bisbetica di chi usa compulsivamente i social: se ai grandi elettori positivi non venisse permesso di votare per il Presidente, gli stessi che oggi mugugnano alle loro spalle griderebbero all’attentato contro la democrazia.