Guerra di dati – Calcolati migliaia di infetti ricoverati per altre malattie. Si discute se abolire il report quotidiano: -8 in intensiva. Studio Usa: Omicron molto meno grave. Non succedeva dal 21 dicembre che i pazienti in terapia intensiva diminuissero da un giorno all’altro: ieri il sempre più discusso bollettino del Covid-19 ne registrava otto in meno rispetto a martedì (sono 1.669 in totale) […]

(DI ALESSANDRO MANTOVANI – Il Fatto Quotidiano) – Non succedeva dal 21 dicembre che i pazienti in terapia intensiva diminuissero da un giorno all’altro: ieri il sempre più discusso bollettino del Covid-19 ne registrava otto in meno rispetto a martedì (sono 1.669 in totale). Però nessuno crede a un’inversione di tendenza. I nuovi ingressi sono stati 156, meno di martedì (185), ma la media mobile settimanale è a 150 e cresce incessantemente da metà ottobre, quando era a 18. È anche probabile che molti di coloro che hanno lasciato i reparti di rianimazione non siano più fra noi: le Regioni hanno contato 313 decessi, ennesimo record della quarta ondata, anche se 60 tra Toscana e Sicilia si devono a ricalcoli dei giorni scorsi. I contagi rilevati sono stati 196.224, a conferma di un rallentamento dell’impressionante crescita di queste settimane. E se questi ultimi si devono a Omicron, gli esperti ritengono che i casi più gravi siano ancora in larga parte Delta, tutt’altro che scomparsa. Si attendono i dati sulla prevalenza delle due varianti.

I ricoverati nei reparti ordinari sono aumentati di 242 unità, il totale è 17.309 pari al 27 per cento dei letti dichiarati dalle Regioni, mentre nelle terapie intensive è al 17 per cento. Se il trend non si inverte c’è chi rischia la zone rosse, ma soprattutto ci sono già enormi problemi negli ospedali dove si rinviano interventi chirurgici, visite e screening con tutto ciò che significa per chi non può pagare i privati.

Questi dati però contengono, specie quelli dei reparti ordinari la cui curva si è impennata quasi quanto quella dei contagi, un numero imprecisato di pazienti positivi al Covid ma ricoverati per altre patologie. Richiedono evidentemente percorsi separati e misure organizzative complesse, ma nulla dicono della gravità del Covid in questa fase. Uno studio della Fiaso, la Federazione delle aziende ospedaliere, ha fotografato la situazione di sei grandi ospedali al 5 gennaio: i positivi ricoverati per malattie diverse dal Covid erano il 34% ma tutti finiscono nelle statistiche e nel calcolo dell’Rt ospedaliero, che è sopra 1 e sta crescendo, ma a questo punto chissà se dice la verità. Fonti qualificate del ministero della Salute riconoscono che il problema c’è, alcune Regioni chiedono di cambiare perché dai ricoveri dipendono i famigerati “colori”. Del resto il monitoraggio clinico affidato allo Spallanzani di Roma non si sa che fine abbia fatto e chissà che non siano sballati anche i dati quotidiani della mortalità su cui si attende il rapporto dell’Istituto superiore di sanità (l’ultimo è di ottobre, prima della quarta ondata). Forse anche per queste contraddizioni si vuole abolire al bollettino quotidiano: ne discuterà il Comitato tecnico-scientifico, sollecitato dall’infettivologo Donato Greco; ovviamente deciderà il governo. Speriamo che non serva a nascondere la polvere sotto qualche ideale tappeto…

Concreti motivi di ottimismo vengono invece da uno studio dell’università californiana di Berkeley che ha confrontato due gruppi di pazienti colpiti a dicembre da Omicron e Delta. Delle 52.297 persone infettate con la variante scoperta a fine novembre in Sudafrica, 222 sono state ricoverate e 7 in terapia intensiva, nessun paziente ha avuto bisogno di ventilazione meccanica e solo uno è morto. Tra i 16.982 contagiati da Delta, questi valori erano rispettivamente 222, 23, 11 e 14. Dunque Omicron presenta un minor rischio di ricovero del 52%, di terapia intensiva del 74%, di morte del 91%. “Le riduzioni della gravità della malattia associate alle infezioni da variante Omicron erano evidenti sia nei pazienti vaccinati sia in quelli non vaccinati”, sottolineano i ricercatori. Che mantengono grande cautela: “Gli alti tassi di infezione possono sopraffare i sistemi sanitari e potrebbero tradursi in un numero assoluto elevato di ricoveri e decessi”, si legge nel paper, non ancora revisionato ma disponibile in preprint firmato tra gli altri da studiosi di alto livello quali Joseph A. Lewnard, Vennis X. Hong, Manish M. Patel e Sara Y. Tartof.