La chimera “Rischio zero”. Poca trasparenza dei dati, Dad a scuola e Green Pass: la gestione “politica” della pandemia ha fallito. Bisogna pensare a prevenzione personalizzata evitando inutili regole orizzontali […]

(DI SARA GANDINI – ilfattoquotidiano.it) – Senza il supporto di evidenze scientifiche chiare, all’inizio dell’emergenza furono prese alcune decisioni, come la chiusura delle scuole. Si sapeva poco del virus, e quindi occorreva decidere e fare in fretta. Ma questo schema di comportamento si è ripetuto anche nell’autunno 2020, con la seconda ondata.

Hanno ricominciato a chiudere le scuole sostenendo che non ci fossero dati sufficienti o affidabili per mantenerle aperte, estrapolando analisi da dati del passato nonostante ci fossero già dati disponibili: ma con il passare del tempo, non avere dati ha iniziato a essere un alibi perfetto.

Così insieme ad altri scienziati abbiamo deciso di studiare l’argomento, riunendo database provenienti da fonti differenti. Abbiamo lavorato partendo dagli scambi sui social, con aggregazioni spontanee di diversi studiosi, giuristi, sociologi, e abbiamo collaborato con parlamentari e ministri, per poter dissipare la cortina di fumo su quanto stava accadendo. Un lavoro volontario, enorme, di parecchi mesi di raccolta e analisi di dati che ci hanno condotto a una conclusione: le scuole erano e sono uno dei luoghi più sicuri e, soprattutto, il bilancio rischi/benefici era, ed è, tutto a favore della scuola in presenza. Questa attività scientifica ha avuto conseguenze giuridiche con diversi ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, tutti vinti. Siamo riusciti, dunque, a far riaprire le scuole, ma con il nuovo governo tutto si è nuovamente fermato: misteriosamente il nuovo esecutivo ha – ne ignoriamo la ragione – smesso di trasmetterci i dati dei contagi nelle scuole, fondamentali per le nostre analisi.

Dopo l’emergenza della prima e della seconda ondata di SarsCov2, abbiamo avuto quella legata alla variante inglese (che, a detta di alcuni, vanificava tutte le nostre analisi), poi è arrivata la Delta: ora è il momento della Omicron, e la situazione sembra ripetersi. Ogni volta tutto il sapere acquisito viene rimesso in discussione, forse alla rincorsa del rischio zero. Attualmente i media enfatizzano l’aumento dei contagi tra i più giovani, meno vaccinati rispetto agli adulti, ma in Italia la malattia grave e la mortalità nei bambini sono rimaste estremamente basse, sia con la Delta che con la Omicron, come ha chiarito anche il professor Zuccotti recentemente. Siamo in una continua, infinita conta di “casi” di cui non si sa il significato. Il tampone positivo, soprattutto dopo che si è vaccinati, è davvero preoccupante? Ha senso continuare a fare screening negli asintomatici? In uno studio condotto allo IEO in corso di pubblicazione abbiamo mostrato recentemente che se gli anticorpi sono elevati il rischio di essere contagiati e di contagiare è significativamente più basso: perché non se ne tiene conto? A questo occorre aggiungere che “positività” non indica malattia, soprattutto nei giovani e nei vaccinati.

Aggiungo che la retorica della necessità di rendere la scuola “sicura”, che ha trovato terreno fertile e ampio spazio in tanta sinistra di governo, ha portato solo alla coercizione vaccinale senza produrre nessun altro cambiamento reale nelle scuole. Vaccino e ancora vaccino, ulteriore distanziamento, ulteriori mascherine, ulteriore screening sugli asintomatici, in una rincorsa verso il contagio zero che perde di vista i ragazzi, il diritto all’istruzione e che, addirittura, porta a discriminazioni e allontanamenti di insegnanti.

Pare che ogni volta ci si dimentichi che anche le misure di contenimento hanno dei costi significativi, ed effetti negativi sulla salute. Vari studi di coorte hanno mostrato aumenti significativi di depressione, ma anche tentativi di suicidio e suicidi, soprattutto negli adolescenti.

È proprio di questi giorni una pubblicazione della Società Italiana di Pediatria che lancia l’allarme sull’altra pandemia che sta colpendo in particolare i giovani e che è grave quanto la prima: sono infatti aumentati del 147% gli accessi ospedalieri per “ideazione suicidaria”, seguiti da quelli per depressione (+115%) e per disturbi della condotta alimentare (+78.4%).

A luglio 2021 Oms, Unicef e Unesco hanno lanciato un appello che non lasciava dubbi: la più grande interruzione della scuola nella storia, a causa delle misure di contrasto al Covid-19, non deve privare i bambini dell’istruzione e dello sviluppo. L’invito rivolto ai governi era di attrezzarsi perché non dovesse più accadere, e nell’appello veniva citato come unico studio proprio quello condotto da noi in Italia, che mostrava la scarsa incidenza dei contagi in ambito scolastico.

Eppure ancora oggi, alla fine del 2021, leggiamo di appelli avanzati da numerosi sindaci che chiedono di introdurre il Green Pass per gli studenti, con la minaccia della DAD per gli altri, e alcuni presidi mettono intere classi in DAD con un solo caso di positività, “in via precauzionale”.

Inutile parlare delle conseguenze: la dispersione scolastica diverrebbe colpa dell’emergenza o degli studenti che non si vaccinano. L’ennesimo intervento che sposta la responsabilità dei problemi della gestione della pandemia ribaltandola sul cittadino, in questo caso sui giovani.

Pare oramai assodato che il GP non influenzi l’andamento epidemiologico del contagio, per il quale occorrerebbe finalmente guardare solo all’aumento delle ospedalizzazioni e delle terapie intensive, vista l’efficacia dei vaccini rispetto alla malattia grave. Il Green Pass va contestato al di là dell’efficacia e sicurezza del vaccino come una delle scelte politiche più cupe e pervasive determinatesi durante la pandemia: si basa sulla strumentalizzazione delle paure e si rinnova continuamente. E infine è una misura di cui non è chiara l’utilità, come appare evidente anche dal raffronto con altri Paesi che ne sono privi.

Per affrontare questa pandemia occorre dare attenzione alla variabilità di ciò che accade ogni giorno, mantenendo la complessità, in un’ottica di medicina e di prevenzione personalizzata. Basta fare tesoro delle differenze di rischi, evitando messaggi e regole uguali per tutti. Perché non siamo tutti uguali e non siamo tutti sulla stessa barca.