Parliamo da giorni – e con che toni assertivi! – della liceità (anzi: della necessità) di non dare voce alla minoranza di no vax e no pass. I sostenitori del bavaglio ne fanno una questione di competenza: non si possono mettere sullo stesso piano uno scienziato e un quivis stregone che si cura con la candeggina, non tutte le opinioni hanno lo stesso valore […]

(di Silvia Truzzi – Il Fatto Quotidiano) – Quando andava ancora di moda la parola scritta, e la gente con in mano una penna era in grado di formulare su carta pensieri financo articolati, a scuola ci facevano fare le traduzioni. Attività oggi giudicata inutile dai più perché “non serve a niente”.

Un epigramma di Marziale, per esempio, a cosa mai potrebbe servire? Forse a conoscere l’istruttiva storia di Mitridate, mitico re del Ponto che si era immunizzato contro l’effetto letale dei veleni assumendone con frequenza piccole quantità. Da qui deriva il bizzarro sostantivo “mitridatizzazione” che ci aiuta a capire come siamo giunti fin qui.

Parliamo da giorni – e con che toni assertivi! – della liceità (anzi: della necessità) di non dare voce alla minoranza di no vax e no pass. I sostenitori del bavaglio ne fanno una questione di competenza: non si possono mettere sullo stesso piano uno scienziato e un quivis stregone che si cura con la candeggina, non tutte le opinioni hanno lo stesso valore. E questa è, appunto, una legittima opinione, ma pur sempre opinione. E non è il sale della democrazia. A parte il fatto che gli scienziati non sono una categoria monolitica (e a turno hanno detto tutto il contrario di tutto), di fronte ad affermazioni di questo tenore solo due anni fa gli stessi che oggi invocano il silenziatore scientista avrebbero gridato al fascismo.

E questo accade perché ci siamo abituati al veleno.

Attenzione però. Il veleno “può essere una corazza ma anche un pugnale”. Parlando dei popoli orientali, il conte di Montecristo dice che “nelle loro mani la scienza diventa non solo un’arma di difesa, ma molto spesso di offesa: l’una serve contro le loro sofferenze fisiche, l’altra contro i loro nemici. E con l’oppio, la belladonna, la falsa angostura addormentano coloro che vorrebbero svegliarli”.

È così – a forza di somministrazioni di libertà limitate – che ci siamo abituati. A breve bisognerà decidere che fare con lo stato d’emergenza, che sta per scadere (per legge è previsto per un massimo di 24 mesi). Vi pare che ci sia un dibattito su questo tema?

E non è una quisquilia, visto che dall’emergenza dipendono procedure e limitazioni straordinarie. Il paradosso, tra l’altro, è che in questo momento la situazione sanitaria (indice Rt, occupazione delle terapie intensive, numero di morti) potrebbe essere gestita anche senza lo stato d’emergenza.

Emergenza che, con tutta evidenza, perde il suo carattere principale se si cronicizza. Dunque: cos’è l’emergenza?

Quest’estate su Repubblica Gustavo Zagrebelsky distingueva tra emergenza ed eccezione: “All’emergenza si ricorre per rientrare quanto più presto è possibile nella normalità”, all’eccezione “per infrangere la regola e imporre un nuovo ordine”. Lo stato di emergenza presuppone “la stabilità di un sistema”, l’eccezione “il suo disfacimento che apre la strada a un sistema diverso”. Questa distinzione torna in mente riflettendo sulle acrobazie che si prospettano per la prossima elezione quirinalizia. Ieri sul Fatto Gaetano Azzariti osservava che se Draghi si dimettesse dalla presidenza del Consiglio perché eletto a quella della Repubblica, dovrebbe essere in teoria lui a gestire la crisi di governo causata dalle sue dimissioni e a nominare il suo successore. La situazione non è esplicitamente vietata dalla Costituzione, ma ciò non significa che sia priva di profili di inopportunità e opacità. Soprattutto dal momento che con l’elezione di Draghi al Colle – secondo il ministro Giorgetti, non l’usciere di Palazzo Chigi – si configurerebbe un semi presidenzialismo “de facto”. Onestamente: a noi il cambiamento de facto della forma di governo pare rappresentare un poco rassicurante stato d’eccezione. E se succederà, sappiamo come è stato possibile: un pezzettino alla volta, ogni giorno. Come diceva il professor Cordero, al ralenti.