
(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Non ne può più e non sa più come dirlo. Perciò lo dice di continuo. Anche ieri, nell’inaugurare l’anno accademico alla Sapienza: «A poche settimane dalla conclusione del mio ruolo…». Sono convinto che nel suo ufficio al Quirinale abbia fatto montare una gigantesca clessidra, di quelle che per girarle non bastano due corazzieri, e la tenga d’occhio senza tregua, sospirando di gioia a ogni granello che transita. Nei giorni scorsi Paolo Mieli ha raccontato sul Corriere come i politici italiani si ispirino al metodo Ambrogio, vescovo di Milano controvoglia. Da noi il modo più sicuro per ottenere un posto è sempre stato quello di fingere di non ambirvi. Rifiutandolo persino, ma solo quel tanto che serve a farselo riproporre, salvo poi accettarlo «per spirito di servizio». Invece la riluttanza di Mattarella è sincera, non foss’altro perché lui in quel posto c’è già. E non vede l’ora di lasciarlo per una lunga serie di ottime ragioni, la più incontestabile delle quali è che a rimanervi avrebbe tutto da perdere. Un attimo dopo la rielezione, la curva dei consensi comincerebbe inevitabilmente a flettersi e la sua uscita di scena avverrebbe in una condizione di saturazione anziché, come adesso, di affettuoso rimpianto.
Per venirne fuori, forse, gli converrebbe inaugurare un metodo Ambrogio al contrario. Se cominciasse a dire che spera di restare al Quirinale altri sette anni, gli aspiranti alla successione si prenderebbero così tanta paura che lo lascerebbero finalmente in pace.
Ma quale flessione dei consensi, Gramellini! Mattarella ha solo voglia di andare in pensione, passare una vecchiaia serena, e vivere in un dignitoso bilocale semiarredato, o qualcosa di simile.
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